Sabato 17 a Torre Faro per dire NO al Ponte sullo Stretto

Continua la martellante propaganda di Salvini e del governo sulla necessità e sulla convenienza del Ponte sullo Stretto. Un’opera presentata come urgente, grandiosa, risolutiva della marginalità e arretratezza meridionale, ma di cui si tacciono le criticità, che sono molte e gravi.

Ha ripreso vigore anche il movimento No ponte che ha organizzato una manifestazione per sabato 17 giugno 2023, alle 17:30 a Torre Faro, lanciando un appello in cui vengono riproposte soprattutto le questioni che toccano da vicino i residenti delle aree interessate alla realizzazione della struttura, sulle due sponde.

Viene ricordato l’effetto devastante di quest’opera dal punto di vista ambientale, un’opera – e questo lo ricordiamo a chi lo avesse dimenticato – di cui manca una corretta Valutazione di impatto ambientale e anche la Valutazione di incidenza richiesta dalla Comunità Europea, nonostante sia noto che – tanto per fare un esempio – ci troviamo su un corridoio studiatissimo per il passaggio di cetacei e di molte specie di pesci.

Ma l’ambiente è minacciato dal progetto anche su altri fronti. L’appello richiama il “delirio di svincoli e viadotti ferroviari e stradali” che darebbe il colpo di grazia ad un territorio già ferito a morte – con buona pace dell’articolo 9 della Costituzione Italiana (che, da poco rimodulato, recita beffardamente: “La Repubblica tutela il paesaggio, l’ambiente, la biodiversità e gli Ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”).

Come ci ricorda Mario Tozzi, geologo, divulgatore scientifico e saggista, l’opera non serve a coloro che viaggiano quotidianamente da un capo all’altro dello Stretto per ragioni di lavoro. “Dei circa cinquemila pendolari oggi l’80 per cento non prende l’auto e ci mette 25 minuti. Domani ci metterebbe un’ora per prendere l’auto, uscire da Reggio Calabria o Messina, pagare pedaggio, attraversare, rientrare a Messina o Reggio Calabria, parcheggiare”.

Non serve, prosegue, neanche al trasposto delle merci “una cassetta d’arance da Palermo a Genova conviene spedirla con la nave, considerando che un cavallo vapore marino sposta 4.000 chilogrammi di merce e uno su gomma 150”.

E non è un’opera utile in chiave turistica, aggiunge Tozzi: “Solo un insano di mente può andare in auto da Francoforte a Catania. E se vuole può imbarcare l’auto a Genova o a Napoli, si riposa e inquina meno”. Inoltre, “se qualcuno viene in Sicilia per il Ponte e non per Piazza Armerina, Palermo, Catania, Etna, Alcantara, Nebrodi, Segesta, Selinunte, Taormina, Eolie, Egadi, va ricoverato d’urgenza in Tso”.

Nella retorica pro-ponte rientra la sbandierata creazione di nuovi posti di lavoro, un vero e proprio spot che tace i veri numeri e soprattutto la mancata risposta ai bisogni del territorio. Molta manodopera, soprattutto quella specializzata, – sempre che i lavori partano davvero – arriverebbe al seguito delle aziende costruttrici e non verrebbe cercata sul territorio, dove sarebbero assunti, in modo temporaneo e occasionale, solo semplici manovali. La messa in sicurezza del territorio e la sua costante manutenzione occuperebbe, e in modo stabile, un numero molto maggiore di lavoratori.

Né la propaganda racconta che, per realizzare le torri e i viadotti del ponte, sarà necessario scavare milioni di metri cubi di terra che finiranno per intasare discariche, colline e torrenti, sconvolgendo il territorio. E che coloro che vivono nelle località interessate dai lavori dovranno abbandonare le loro case, di cui saranno espropriati, mentre chi potrà restare avrà la vita sconvolta per anni dalla esecuzione dei lavori.

Lo ricordano gli organizzatori della protesta nel loro appello. Un appello essenziale, che non si sofferma sui problemi tecnici, non tira fuori i numeri sui ponti a campata unica citati come modelli (Dardanelli, 2.023 metri; Akashi, 1.991 metri) ma che non prevedono il passaggio dei treni, mentre il ponte ferroviario più lungo del mondo non supera i 1.440 metri, meno della metà della campata prevista per il Ponte sullo Stretto (3.200 metri).

Non torna sul problema della sismicità dell’area né sulla vulnerabilità militare della struttura nè sul fatto che l’opera sia fortemente sovradimensionata, e verrebbe utilizzata, a regime, appena al 10-15% della sua capacità.

Ai promotori della manifestazione interessa soprattutto chiarire il punto di vista dei residenti dell’area: “noi abitanti dei territori dello Stretto di Messina non accettiamo di subire i disastri sociali creati dalla costruzione del ponte e non ci fermeremo fintanto che il ponte non sarà cancellato dall’orizzonte futuro del nostro territorio”.

Questo non vuol dire che ci sta bene l’esistente – proseguono. Non ci sta bene il monopolio di fatto dell’attraversamento dello Stretto da parte della Caronte&Tourist. Non ci sta bene la fragilità dell’assetto idrogeologico del nostro territorio. Vogliamo cambiare questo stato di cose, vogliamo cogliere l’occasione per interrogarci sui nostri bisogni reali e trovare le soluzioni per “abitare in modo più felice lo spazio in cui viviamo”, senza subire decisioni “coloniali” che ignorano i nostri veri bisogni.

Leggi l’appello sul sito di Italia Nostra, che ha aderito al corteo organizzato dal Movimento No Ponte

Argo

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