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Piazza Lanza, un albero del ricordo e del confronto

Dal 21 marzo del 2022 si può ammirare in piazza Lanza un albero di ceramica, montato su una struttura in ferro, inaugurato nella ‘giornata della memoria e dell’impegno’ promossa da Libera in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

Quest’albero non è solo un simbolo di rinascita, è anche il prodotto manuale di un laboratorio condotto dalle detenute del carcere all’interno di un progetto, ‘Dentro e Fuori la Memoria’, che ha impegnato, oltre a Libera, il Liceo artistico Emilio Greco, l’Ufficio di esecuzione penale esterna (UDEPE), il Carcere di Piaza Lanza e il CPIA.

Il dentro e il fuori, in questo progetto, non è solo relativo alla memoria, alla volontà di non dimenticare, affinché non vada perduto il sacrificio delle vittime di mafia. C’è un dentro e un fuori anche rispetto alle mura del carcere, perché a misurarsi con il dolore dei familiari delle vittime sono stati – in modo parallelo – un gruppo di donne recluse nella casa circondariale di piazza Lanza e un gruppo di uomini in esecuzione penale esterna, che scontano la loro pena fuori dal carcere o perché messi alla prova o ai domiciliari o in libertà vigilata etc.

Due gruppi con caratteristiche diverse che hanno camminato verso un obiettivo comune, prendere coscienza del dolore arrecato e iniziare un percorso di cambiamento a partire da una assunzione di responsabilità.

La metodologia seguita è affine a quella della giustizia riparativa che, considerando il crimine una violazione non tanto delle leggi, quanto delle persone e dei rapporti interpersonali, punta alla riconciliazione.

Il rapporto con le vittime, centrale in questa metodologia, si è svolto in questo caso in modo particolare, vale a dire non con le vittime dirette del proprio reato, ma con vittime “aspecifiche”. Sono stati organizzati incontri con parenti di vittime di mafia della nostra città, come ad esempio Dario, fratello di Beppe Montana, il commissario di polizia ucciso vicino Palermo nel 1985, o come Francesca Andreozzi, nipote di Pippo Fava, che hanno parlato della loro esperienza di perdita del congiunto amato e del conseguente sconvolgimento della propria esistenza.

Anche gli autori dei reati hanno un proprio dolore, vissuto spesso con rancore o risentimento, basti pensare alle donne recluse, lontane dai propri figli. L’incontro con i familiari delle vittime non poteva che divenire occasione di riflessione, di scambio di esperienze, di presa di coscienza delle conseguenze dei propri atti sulla vita altrui, in precedenza mai presa in considerazione.

Sono stati incontri collettivi, svolti in parte in presenza e in parte in collegamento a distanza, sia a causa del Covid sia perché non è possibile per chi è in esecuzione penale esterna entrare in carcere, né alle detenute uscire dalla struttura. Ma l’impatto umano, emotivo, di riflessione è stato forte, significativo, come si evidenzia dalle testimonianze delle donne coinvolte nel progetto, raccolte in un video registrato.

Oltre agli incontri interpersonali, il progetto prevedeva la realizzazione di ‘prodotti’ materiali, in cui entrambi i gruppi sono stati impegnati. Nella prima fase le detenute, con le loro docenti di materie artistiche, hanno realizzato l’albero di ceramica di cui abbiamo detto, tuttora presente nello spazio antistante la struttura carceraria. Un albero con un tronco possente, le foglie in parte verdi, in parte cadenti ma con su scritti i nomi delle vittime di mafia, da non dimenticare e ancora in grado di parlare a tutti noi.

Nella fase successiva, le detenute hanno realizzato una brochure con una mappa della città in cui sono evidenziati i luoghi intitolati a vittime di mafia o in cui le stesse sono state uccise. Nel contempo, gli uomini in esecuzione penale esterna coinvolti nel progetto si sono fisicamente recati in questi luoghi e li hanno forografati, arrivando ad osservare – in modo spontaneo – alcune anomalie. Hanno notato l’incuria in cui è tenuta la piazza Beppe Montana, abbandonata ai rifiuti, o la presenza dissonante di un sexy shop proprio accanto alla lapide che ricorda l’omicio di Fava, sulla via omonima. Segni della disattenzione del comune verso i beni pubblici e quelli della memoria in particolare, ma una dimostrazione anche del coinvolgimento attento con cui si sono guardati attorno coloro che hanno partecipato al progetto.

La brochure è stata presentata giovedì 11 maggio, nell’aula magna del palazzo centrale dell’Università, nel corso di un incontro pubblico che ha sancito la fine del progetto alla presenza di autorità civili ed accademiche e soprattutto dei responsabili di questa esperienza significativa, che hanno tirato le fila del lavoro svolto. Un punto di arrivo, quindi, ma anche un possibile punto di ripartenza: ad una iniziativa forte che ha aperto uno spiraglio verso il cambiamento tutti ritengono che sarebbe opportuno dare continuità.

Argo

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