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Alta Velocità al Sud, rischio di sprechi e disastri ambientali

Un Paese diviso in due, con l’Alta Velocità presente solo al nord. E un meridione in cui non manca solo l’Alta velocità, ma i collegamenti tout court, soprattutto quelli interni, ad esempio fra le città del sud. “Solo il 18% delle relazioni fra i capoluoghi di regione del Sud sono serviti da un collegamento diretto con una delle modalità di trasporto collettivo contro il 50% del nord e il 67% del centro Italia”, scrive Franco Maldonato ne “L’imbroglio. Storia dell’Alta Velocità al Sud” (ed. Licosia).

E prosegue osservando che “mentre ci si blocca con il treno veloce, Matera la più antica città del mondo (fondata12.000 anni fa) e patrimonio dell’umanità rimarrà ancora per molto tempo priva di accesso ferroviario”.

Una situazione vista da molti – scrive ancora Maldonato – come una delle cause del ridottissimo mercato interno e in ultima analisi dell’arretratezza della regione meridionali.

Considerato che una parte rilevante dei fondi del PNRR è specificamente dedicata al potenziamento delle ferrovie e alla estensione nel sud dell’Alta Velocità, potremmo sperare di avere finalmente l’opportunità per cambiare le cose.

Ma le cose non stanno così, come ci dimostra in modo molto articolato l’autore di questo ‘esplosivo’ libretto.

Le prime perplessità riguardano non l’obiettivo in sé, ma il modo in cui si pensa, o meglio in cui RFI (Rete Ferroviaria Italiana) intende conseguirlo. Il Parlamento si era pronunciato indicando, come soluzione, il miglioramento/potenziamento della linea esistente. RFI, al contrario, vuole legare l’Alta Velocità alla definizione di un nuovo percorso, alternativo a quello attuale. Una scelta, come vedremo, che rischia di fare enormi danni al territorio.

Ma è necessario fare, innanzi tutto, una premessa. Come Maldonato osserva, RFI opera all’interno di un quadro di sostanziale conflitto di interessi, infatti, al contempo, “predispone il progetto, è il legale rappresentante della stazione appaltante (organizza, governa e aggiudica la gara), è Commissario straordinario del governo per la realizzazione dell’opera”. Una tale posizione dominante può, però, far sì che RFI proceda senza tenere conto delle prescrizioni europee e delle scelte del nostro Parlamento?

L’Unione Europea, infatti, chiede che i fondi del PNRR contribuiscano a far crescere la sostenibilità ambientale, economica e sociale. Proprio rispetto alla sostenibilità ambientale emergono i primi problemi. Gli studi pubblicati, che avrebbero dovuto riguardare l’intero progetto, sono riferiti esclusivamente all’unico lotto funzionale, Battipaglia Romagnano (35 km). Peraltro, nell’area di cui stiamo parlando il progetto prevede di realizzare su 32 km di tratta una serie di gallerie per il 40% del percorso viadotti e altre opere d’arte, il che comporterà l’escavazione di 4,5 milioni di metri cubi, l’occupazione di 2 milioni 340.000 metri quadrati, di cui 110.000 metri quadrati di oliveti.

Di più, l’intero (nuovo) progetto prevede di scavare 160 km di gallerie, nonostante il 30% del territorio meridionale negli ultimi decenni abbia subito più di diecimila frane all’anno su colline e montagne. Nella mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale il Vallo di Diano ed il lagonegrese, che costituiscono le aree lungo le quali dovrebbe svolgersi il nuovo percorso dell’alta velocità, sono indicati in corrispondenza di un’area geografica classificata a pericolosità sismica da elevata ad alta.

Il percorso, inoltre, attraversa parchi e riserve naturalistiche. Per realizzare il lotto Praia Tarsia occorrerà perforare l’arco montuoso dell’area protetta del parco nazionale dove è vietato realizzare cave, miniere, gallerie, pozzi, nonché asportare materiali inerti e modificare gli equilibri geomorfologici dell’aria. Anche dal punto di vista archeologico, soprattutto nel Vallo di Diano, nel territorio attraversato dalla nuova linea sono presenti importanti testimonianze. Inutile dire che RFI ignora semplicemente tutti questi problemi.

Passiamo al rapporto costi/benefici. Secondo Giorgio Ragazzi (già direttore esecutivo della banca mondiale) alla luce dell’analisi costi – benefici dell’intero primo lotto l’investimento appare pessimo: a fronte dei 6,1 miliardi investiti si attendono ricavi dai pedaggi di appena 398 milioni nell’arco dei prossimi 40 anni, insufficienti persino a coprire i costi di manutenzione della linea.

Quanto ai risparmi di tempo per i passeggeri, con la linea nuova sono previsti risparmi nell’ordine dell’ora, ma riduzioni molto simili si possono ottenere con il potenziamento della linea costiera, veloce sino a 200 km orari e per nulla satura.

Inoltre, nel progetto manca l’integrazione degli interventi con i sistemi di trasporto regionali, che svolgono un ruolo primario nel sostenere la domanda di mobilità locale, alimentando il sistema dei collegamenti ad alta velocità a livello nazionale.

Ancora, la nuova linea, caso unico, servirà per trasportare passeggeri e merci. Un connubio particolarmente infelice, infatti i treni merci (a causa del peso) usurano maggiormente i binari, raggiungono al massimo la velocità di 120 km orari e possono affrontare pendenze più contenute. In sostanza, “far viaggiare i treni merci sulle linee ad alta velocità avrebbe un costo eccessivo, limitando il traffico passeggeri e penalizzando proprio l’aspetto principale delle nuove linee, ovvero la velocità”.

Siamo quindi di fronte a un progetto che non va nella direzione di implementare una rete di trasporti a basso impatto ambientale ed efficiente. A fronte di una spesa complessiva degna di miglior causa, non c’è un risparmio di tempo rispetto al potenziamento della vecchia linea e si producono danni importanti all’ecosistema. L’emissione di maggior quantità di CO2 sarà recuperabile, forse, soltanto dal XXII secolo. E permane l’isolamento delle zone interne. Forse è il caso di mobilitarsi per evitare che un apparente intervento migliorativo produca effetti disastrosi, per lo più permanenti.

Argo

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