Venerdì scorso si è celebrato un evento raro, quasi inaudito: si è parlato di Mezzogiorno, del destino dell’area più arretrata d’Europa, dilaniata da una crisi economica e sociale senza precedenti, avvolto da un silenzio assordante. E’ avvenuto nel Forum sul Mezzogiorno, tenutosi venerdì scorso sulla pagina Facebook di Memoria e Futuro, con il confronto tra Antonio Fraschilla, giornalista de L’Espresso e Alfio Mannino, segretario regionale della Cgil. Il titolo dell’iniziative era quanto mai significativo: “Buio a Mezzogiorno”.
“Nella manovra finanziaria – ha esordito il giornalista de “L’espresso” – lo spazio del Mezzogiorno è stato zero. Il governo Meloni non ha una politica per il Sud, così come non ce l’aveva il governo precedente e i governi degli ultimi vent’anni. Il ponte sullo stretto, in questo quadro, ha il sapore di un contentino. Intanto – ha continuato Fraschilla – avanza il veleno autonomista iniettato da Bossi nei primi anni novanta e attuato per assurdo dai governi di centro sinistra, con la riforma del titolo quinto della Costituzione.
Il veleno leghista – ha aggiunto Antonio Fraschilla – è stato introiettato dalle classi dirigenti meridionali. Adesso è arrivato Calderoli che con la sua bozza applicherebbe un’autonomia spinta senza nemmeno stabilire i livelli minimi essenziali delle prestazioni e dei servizi. Così tutti, destra e sinistra, parlano di federalismo ma nessuno pone l’accento sul tempo pieno nelle scuole, sulla sanità, su un rapporto medici-cittadini uguale ed omogeneo in tutto il Paese e nel Sud. Cioè non si porta avanti una politica concreta per ridurre divari territoriali e sociali. In questo silenzio il veleno federalista va avanti”.
Il segretario della Cgil ha sottolineato: “la scarsa consapevolezza delle classi dirigenti meridionali circa la profondità della crisi e ha evidenziato cinque grandi questioni: “lo spopolamento di massa che ormai investe il Mezzogiorno e soprattutto le sue aree interne. Esodo che compromette la possibilità di ricostruire sul piano economico e sociale la Sicilia e il Mezzogiorno. La flat tax, diretta alle partite Iva del centro Nord, l’aggressione al reddito di cittadinanza che comporta, al di là delle criticità di questo strumento, un ulteriore spostamento di riforme a favore del Centro Nord. I rischi connessi al nuovo dimensionamento dell’autonomia scolastica che si tradurrà nella chiusura di decine di scuole nelle aree interne, l’ulteriore precarizzazione del lavoro con la ventilata reintroduzione dei voucher.”
L’ultimo punto toccato da Mannino è l’arretramento sempre più forte del settore pubblico, soprattutto nel campo sanitario con “l’idea affacciata dall’attuale governo regionale di esternalizzare tutta la gestione della lunga degenza”. Con il Pnrr – ha continuato il segretario Cgil – si “rischia di costruire ospedali pubblici e di affidare i servizi ai privati. Se non si attua una straordinaria campagna di assunzioni nel servizio sanitario pubblico si finirà con il regalare ai privati strutture costruite con risorse pubbliche.”
Il giornalista de L’Espresso è tornato sul tema del profilo politico “di un governo che tende a proteggere le grandi ricchezze, intento ad aiutare le categorie professionali ad alta propensione all’evasione. Un governo garante delle lobby dei titolari delle concessioni demaniali come dimostra la nomina a ministro della Santachè”.
Fraschilla si è infine soffermato sulla valenza ideologica della battaglia contro il reddito di cittadinanza, diventato di fatto una sorta di salario minimo e che ha posto un limite allo sfruttamento di chi è costretto a lavorare dieci – dodici ore al giorno per 500 euro al mese. “È questo effetto di contenimento del lavoro nero e dello sfruttamento – ha concluso il giornalista – che ha dato fastidio al governo e alle lobby che difende”.
Il dibattito è proseguito con le considerazioni del professore Pioletti circa il rapporto tra Mezzogiorno ed Europa e la necessità di avviare una grande mobilitazione che ponga il Mezzogiorno al centro di una nuova fase dello sviluppo del Paese.
Tema riaffermato dal segretario della Cgil: “Noi abbiamo il dovere di un’opposizione sociale. Per questo come Cgil e Uil nei prossimi giorni scenderemo in piazza con lo sciopero generale di 4 ore in tutto il Paese e il 13 dicembre in Sicilia. Ma ciò che ci lascia basiti – ha proseguito Mannino – è l’inadeguatezza delle classi politiche progressiste che davvero dovrebbero – sulla base delle cose che abbiamo detto qui – trovare le ragioni per mettere in campo una idea diversa di Paese. Un’opposizione sociale da sola per quanto forte difficilmente riuscirà a modificare i rapporti di forza in questa regione e in questa Italia”.
Un dibattito dai toni fortemente preoccupati che nel suo svolgersi si è trasformato in un grido d’allarme verso le condizioni in cui affoga il Sud del Paese e ha assunto i toni di un autentico atto d’accusa, non solo verso gli indirizzi adottati dal governo Meloni e l’inadeguatezza delle classi dirigenti meridionali, ma anche nei confronti dei silenzi di una intera classe dirigente “progressista”.
Forse i promotori e gli stessi protagonisti del dibattito si illudono che in un Paese come il nostro possa oggi trovare posto una nuova questione meridionale, intesa e affrontata per quel che è: specchio e frutto del modo in cui l’Italia si è fatta nazione e del modello di sviluppo che ha orientato la sua crescita. E forse è davvero scaduto il tempo per un discorso razionale intorno al destino del Mezzogiorno, sottratto agli egoismi leghisti diventati ormai, in un lunghissimo trentennio, egemonia e quotidiano senso comune.
Eppure, proprio in ragione di ciò, è importante continuare a parlare di Mezzogiorno. Esso non smette di interrogarci, con le sue incommensurabili diseguaglianze di reddito, opportunità, servizi e chance di vita. Diseguaglianze ormai intollerabili anche dentro il Nord del Paese. La destra a tutto ciò risponde con l’ideologia del merito, di chi ce l’ha fatta, di chi sta in cima, propinandoci la favoletta degli under dog che erano già ministri a trent’anni. In questo contesto il Mezzogiorno diventa sintesi ed emblema della lotta alle diseguaglianze, innanzitutto da qui si misura una nuova idea di sviluppo e di Paese. È tempo che le classi dirigenti cosiddette progressiste e ciò che resta della sinistra battano un colpo. Se vogliono svolgere una funzione nazionale.