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Suicidi in carcere, il fine pena che non vogliamo

Dall’Ucciardone di Palermo al Gazzi di Messina, dalla casa circondariale di piazza Lanza a Catania a quella di Siracusa. Nei primi otto mesi del 2022 in Sicilia si contano già sette suicidi in carcere, un fenomeno in crescita anche nel resto d’Italia (dati di Ristretti Orizzonti) insieme gli atti di aulesionismo.

A monitorare la situazione sono associazioni come Antigone, che si occupa in particolare dei “diritti e garanzie nel sistema penale”. Nata alla fine degli anni ottanta, l’associazione raccoglie e divulga informazioni sulla realtà carceraria anche grazie al fatto che è autorizzata a fare delle visite negli istituti penitenziari, sin dal 1998. E’ ormai attiva anche una costola siciliana che ha anche una pagina Facebook, da cui si può seguire parte della sua attività.

L’ultimo caso di suicidio è quello del giovane migrante che si è impiccato nel penitenziario di contrada Cavadonna a Siracusa. Anche in questo caso si tratta di una persona giovane con fragilità psicofisiche che si trovava in carcere per reati di lieve entità.

Molti di questi detenuti, in realtà. in carcere non dovrebbero proprio entraci come il detenuto catanese che si è suicidato nel carcere di Caltagirone e che avrebbe avuto bisogno di cure e di assistenza perché affetto da psicosi e già in lista di attesa per essere inserito in una comunità terapeutica assistita.

Si tratta di soggetti a cui andrebbero fornite subito alternative come quelle delle comunità alloggio o delle Residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza (Rems), che in Sicilia, però, sono solo due, a Naso e Caltagirone, con un numero di posti insufficienti.

Da anni si attenda l’apertura di un terzo centro, ma non è detto che queste strutture siano adeguate ai casi di disturbi psichici non gravi, a cui si devono aggiungere i casi di disturbi sopravvenuti dopo l’ingresso in carcere.

Sarebbe opportuno studiare altri percorsi, in modo che i detenuti possano essere seguiti, con il coinvolgimento delle Autorità sanitarie locali, da personale con professionalità adeguate, e soprattutto migliorando le condizioni strutturali delle carceri e creando condizioni di vita dignitose per tutte le persone recluse.

Di attivare progetti di accoglienza alla vita carceraria e di rafforzare la presenza di psicologi e psichiatri in servizio negli istituti di pena, parla il Garante regionale dei detenuti, ma sono questioni messe sul tavolo da tempo senza che alle parole seguano i fatti.

La Regione Siciliana ha anche approvato le linee guida per la prevenzione al suicidio in carcere, che prevedono una task force multidisciplinare che valutati le situazioni a rischio, ma lo stesso Pino Apprendi, presidente di Antigone Sicilia, è dubbioso sul fatto che vengano applicate.

“Lo Stato fallisce il proprio compito di tutelare la salute delle persone che ha preso in consegna, per rieducarle e riconsegnarle alla società. Li restituisce in una fredda bara, con un verbale sommario”, dichiara Apprendi.

Al di là della retorica, se – nonostante gli strumenti messi in campo, almeno sulla carta – le cose non cambiano, c’è qualcosa che non va e dovremmo tutti quanto meno interrogarci.

Argo

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