In una Catania invasa dai rifiuti, la scelta della Regione di puntare sulla costruzione di due inceneritori può sembrare una scelta ragionevole, forse addirittura risolutiva.

Dare poi a questi impianti la denominazione di termovalorizzatori, evocando la possibilità di ricavare energia dai cumuli di spazzatura con cui giornalmente conviviamo, fa apparire l’inceneritore come una prospettiva auspicabile.

Perchè allora l’incenerimento dei rifiuti non è più incoraggiato dall’Europa tanto che la realizzazione di questi impianti non può essere finanziata con i fondi del PNRR? Perchè in altri paesi europei, come la Danimarca che aveva puntato molto sull’incenerimento, si sta pensando ad una inversione di rotta con lo spegnimento progressivo degli impianti di incenerimento?

Una risposta ci viene da Enzo Favoino, uno dei maggiori esperti internazionali, intervistato da Manuela Leone nel podcast “Rifiuti: ri-evoluzione in corso”, pubblicato su ‘Italia che cambia’.

“Incenerire produce energia, è vero – esordisce – ma produce anche molte emissioni di anidride carbonica di origine fossile, con una ‘impronta carboniosa’ eccessiva rispetto agli impegni di decarbonizzazione assunti dall’Unione Europea”.

L’Europa, infatti, ha preso l’impegno di diventare “neutrale dal punto di vista climatico” entro il 2050 e, per raggiungere questo obiettivo, deve fare ricorso in modo crescente alle energie rinnovabili riducendo l’uso delle energie fossili.

Tuttavia, spiega Favoino, già adesso l’emisione unitaria di anidride carbonica di origine fossile per ogni kilovattora ottenuta da incenerimento è superiore alla emissione unitaria di anidride carbonica prodotta da un “mix energetico tradizionale”, composto da una quota decrescente di energia fossile e crescente da rinnovabili.

E la differenza numerica non è da poco, con il mix energetico si producono 250 gr. di anidride carbonica per kilovattora, con incenerimento 750/800 gr, sempre per kilovattora. L’incenerimento viene quindi definito da Favoino un “fardello netto” nel percorso verso la decarbonizzazione. Pur producendo energia, lo fa ad un costo ambientale pesantissimo.

L’incenerimento – prosegue – determina anche un ‘ingessamento’ del sistema, non permette la flessibilità richiesta dal percorso di innovazione. Ecco perchè.

La costruzione degli impianti ha un costo notevole, circa 1000/1500 euro per tonnellata annua di capacità operativa contro i 300/400 euro di un impianto di compostaggio. L’incenerimento, quindi, può garantire un ritorno dell’investimento solo con contratti di lunga durata che garantiscano un certo tonnellaggio di rifiuti da incenerire.

In base a questi contratti (‘vuoto per pieno’), i comuni o le provincie collegati all’inceneritore sono costretti a conferire una certa quantità di rifiuti o a pagare comunque, nel caso che quel tonnellaggio non venga raggiunto. Ecco perché il Comune non è incentivato a ridurre la quantità di rifiuti, anche se lo chiedono le normative o la sostenibilità ambientale.

Favoino fa anche degli esempi che definisce ‘clamorosi’, come quello dei Comuni della Versilia che, per rispettare gli obiettivi del Testo Unico Ambientale, hanno introdotto il porta a porta raggiungendo oltre il 65% di raccolta differenziata. A questo punto non sono più riusciti a rispettare gli obblighi contrattuali con l’inceneritore di Pietrasanta e hanno dovuto pagare penali molto pesanti con il rischio di bancarotta.

La direzione verso cui andare è chiara: ridurre il rifiuto residuo, quello che rimane dopo il riuso, la differenziazione, la separazione dell’organico, il riciclo. La normativa europea prevede che, entro il 2035, si debba conferire in discarica un residuo non superiore al 10%, percentuale che potrebbe anche essere rivista al ribasso o abolita. Anche perché, ormai, più che le percentuali, di per sé poco indicative, si cerca di ridurre i volumi, ponendo limiti ai kilogrammi annui per abitante.

L’economia circolare, vale a dire il mantenimento di materiale e risorse dentro il sistema, è il concetto base a cui fa riferimento tutto il discorso di Favoino.

Quanto al fatto che l’incenerimento comporti l’eliminazione delle discariche, Favoino spiega che si tratta di un’illusione. Certamente, rispetto a noi catanesi che abbiamo una percentuale ridicola di raccolta differenziata e andiamo saturando tutte le discariche possibili, chi incenerisce ha bisogno di minore spazio in discarica, ma la discarica resta necessaria e alcune delle scorie sono pericolose, sopratutto le ‘ceneri volanti’, che hanno bisogno di discariche particolari, con costi aggiuntivi. Anche le ceneri pesanti, che possono essere più o meno pericolose a seconda della presenza di alcune sostanze, hanno comunque bisogno della discarica.

Il vero modo di minimizzare il ricorso alla discarica – aggiunge Favoino – sta a monte, nella riduzione, nel riuso, etc, ma soprattutto nella riprogettazione continua del sistema, ad esempio rendendo i materiali più riciclabili e compostabili o cercando sistemi di raccolta differenziata sempre più coinvolgenti e partecipativi. Un altro sistema è quello di utilizzare le nuove tecniche di stabilizzazione biologica, una tecnica che consente di degradare la sostanza organica presente anche nel rifiuto residuo e portare in discarica un rifiuto minimizzato sia nei volumi sia nell’impatto ambientale.

Ma non è pessimista Favoino, ricorda che sono ormai 122 i comuni italiani, sia pure di dimesioni medio piccole, che hanno superato il 90% di raccolta differenziata e che una regione come la Sardegna, partita dal 3% di differenziata, contende adesso al Veneto la palma di regione leader nella raccolta differenziata.

“Dobbiamo essere ottimisti e innovatori – conclude Favoino – e spostare sempre più in là la barra della nostra ambizione”.

Argo

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