Bombe, morte, massacri, armi, tante armi. Queste le parole che risuonano continuamente attorno a noi e che rendono difficile parlare di Pasqua, di resurrezione, di pace.

Ma dovremmo anche chiederci da dove nasca l’inquietudine che oggi ci pervade. Dalla ‘compassione’ (parola abusata che ha perso il suo originario, intenso significato di ‘patire con’), da un sentimento di solidarietà verso le vittime, dal senso di impotenza verso un meccanismo di distruzione che pare non si possa più fermare? Forse tutto questo, insieme al comprensibile timore di essere direttamente coinvolti in un evento bellico che potrebbe travolgerci, a breve.

Eppure c’erano guerre in corso anche nelle feste pasquali degli anni precedenti, c’erano vittime innocenti, bambini uccisi, donne stuprate mentre ci scambiavamo tranquillamente auguri e uova di cioccolato, perché quelle guerre non ci riguardavano, a stento ne sapevamo qualcosa, talora non le conoscevamo affatto.

Non c’erano ancora i profughi ucraini a cui aprire le porte, ma c’erano profughi di altri paesi, di altre guerre, a cui le porte (in genere i porti) venivano chiuse. C’erano uomini, donne e bambini che morivano nel Mediterraneo o nel gelo della rotta balcanica, ma ci facevamo poco caso, ce ne sentivamo poco toccati.

Anche perché se ne parlava poco, mentre oggi siamo gravati dal peso di informazioni martellanti e di letture non univoche, di appassionate prese di posizione e di dubbi profondi, di facili accuse e tentazioni di censura.

Persino l’autorezza di papa Francesco viene messa in discussione e il suo richiamo alla pace guardato con sospetto.

In questo contesto così difficile, abbiamo trovato significative le parole del teologo Klaus Hemmerle, vescovo di Aquisgrana, morto nel 1994

Occhi di Pasqua

Io auguro a noi occhi di Pasqua
capaci di guardare
nella morte fino alla vita
nella colpa fino al perdono,
nella divisione fino all’unità,
nella piaga fino allo splendore,
nell’uomo fino a Dio,
in Dio fino all’uomo,
nell’io fino al tu.

!

Argo

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