Monte Po, emergenze archeologiche nel parco che verrà

Scorci poco noti di grande bellezza naturalistica, come abbiamo visto alla foce dell’Acquicella o nei boschetti di pioppio bianco, olmi e salici, ma anche manufatti di notevole interesse, arricchiscono l’area che potrebbe divenire Parco cittadino, grande polmone verde di cui la nostra città ha davvero bisogno.

Abbiamo di recente parlato delle strutture militari presenti sulla collina di Monte Po, estendiamo oggi lo sguardo ad un altro edificio, di origine e natura incerta, che si trova proprio sulla sommità di questa collina e deve parte del proprio fascino al mistero che lo caratterizza.

Richiama il monumento rappresentato in un acquerello del pittore francese Jean Houel, che percorse in lungo e in largo la Sicilia rappresentandone paesaggi e strutture, ma gli stumenti per ragionare su questo edificio, cercare di datarlo e comprenderne la funzione, ce li dà oggi l’archeologa Pinella Marchese, una studiosa che, negli anni Novanta del secolo scorso, ha lavorato anche alle pendici di Monte Po, partecipando agli scavi effettuati in quest’area dalla Soprintendenza.

Dopo un rapido sopralluogo, Marchese ha voluto fornire, alla équipe che lavora al progetto del Parco, una relazione preliminare, al cui approfondimento sta ancora lavorando, ma che mettiamo intanto a disposizione della città nella sua attuale formulazione.

L’area di Nesima e della collina di Monte Po’, poste a nord/ovest della città di Catania hanno subito nei tempi così profonde trasformazioni e sconvolgimenti, a causa dell’attuazione di programmi di edilizia urbana e commerciale, che oggi è difficile riconoscere l’originaria morfologia dei luoghi e ricostruire il quadro ambientale e storico – topografico antico.

Dalle fonti bibliografiche e dai risultati della ricerca archeologica, condotta negli ultimi decenni del secolo scorso fino agli inizi del Duemila, si traggono notizie storiche e dati materiali relativi al fatto che l’area, compresa nella proposta in oggetto, sia stata interessata fin dell’Antichità da insediamenti umani in quanto il sito ed in particolare la collina di Monte Po’ era compresa in un articolato sistema collinare, che si erge quasi a naturale baluardo di un territorio che Federico di Svevia riterrà necessario controllare con castella e motta.

In età tardoantica si rileva anche la presenza di casali e fattorie sparse nella verdeggiante distesa della bassa e media valle del Simeto, ricca di vigneti e campi resi fertili dalla cenere sprigionata dal vulcano durante le eruzioni e dotata di ingenti risorse idriche.

Nell’Itinerarium Antonini o Provinciarum (una vasta raccolta di età tardoantica comprendente itinerari ordinati secondo un criterio geografico) si fa riferimento nella tratta ab Aethna Catinam al dato che il percorso viario da Misterbianco proseguiva verso Catina fiancheggiando l’acquedotto romano, mentre a sud si innalzava la cima di Monte Po’ con i ruderi di una fortificazione.

In questa cornice storico – insediativa va quindi collocata la presenza, sulla cima di Monte Po’, di un’antica struttura in stato di rovina che è stata oggetto di un sopralluogo congiunto da me stessa effettuato in data 22 settembre scorso in occasione dell’itinerario paesaggistico-culturale effettuato a cura del CAI Catania in occasione della Settimana Europea della Mobilità Urbana.

La struttura (compresa nel Fgl. 29A, p.la 1883; non riportata nella mappa catastale) presenta pianta rettangolare (dim.: m 8,75 x 9,55), è priva della copertura e conserva su quattro lati i muri perimetrali, che da terra si conservano per un alzato m 2/2,50.

I resti dei muri, che presentano nell’alzato residuo uno spessore di circa 1 metro, mostrano un paramento in opus incertum, in cui sono messe in opera pietre laviche di varie dimensioni con faccia a vista disposte per filari e talora rinzeppati con mattoni; il suddetto paramento contiene un nucleo in opera cementizia (pietrame di varia pezzatura legato con malta).

Durante la ricognizione superficiale si sono evidenziate sotto la coltre delle sterpaglie e lungo i perimetri orientali, settentrionali ed occidentale dell’ambiente medesimo, delle anomalie morfologiche riconducibili a strutture murarie sepolte; sembrerebbe trattarsi di strutture consistenti, di larghezza superiore ad un metro, anteriori all’alzato murario ‘a vista’ oppure con funzione di contrafforte al medesimo. Lungo il perimetro nord della fabbrica sotto la sterpaglia si è anche individuata la presenza di una fossa o comunque di una cavità interrata.

Due ingressi, posti uno sul lato meridionale ed un altro su quello occidentale, consentono l’accesso all’interno del fabbricato, che presenta le pareti interne intonacate da una spessa e grezza malta grigio- scura.

Da un’attenta osservazione del paramento murario esterno sembrerebbe esserci una discontinuità strutturale tra il settore inferiore e quello superiore della fabbrica che nei tratti in elevato della facciata orientale e di quella meridionale presentano una fattura disomogenea, dovuta forse a rifacimenti seriori alla fase costruttiva originaria.

La costruzione più antica è costituita da grossi conci di pietra lavica con faccia a vista disposti a filari regolari e staticamente più solidi, mentre sembrerebbe che in una fase edilizia successiva vengano utilizzate pietre laviche di dimensioni minori e mattoni di terracotta frammentati.

L’impianto dell’edificio, la presenza delle strutture sepolte e la posizione dominante a controllo della valle sottostante possono indurre ad identificare la struttura nel suo impianto originario in una torre, facente parte di un complesso difensivo a cui potrebbero ricondursi i resti e le anomalie morfologiche rilevate da alcuni visitatori moderni lungo le pendici della stessa collina (n. r. : testimonianza orale); si potrebbe infatti trattare del rudere di una fortificazione sul cocuzzolo di Monte Pò, di cui abbiamo testimonianza da Ignazio Paternò Castello Principe di Biscari, nel Settecento regio custode delle Antichità per il Val Demone.

Descrizione peraltro aderente anche ad un acquerello di Houel, che riproduce un edificio identificabile con quello oggetto del sopralluogo.

Al momento, salvo successivi approfondimenti e ricerche, si potrebbe ipotizzare che la struttura sia da ricondurre ad una fase medievale.

Nel periodo, infatti, compreso tra la tarda antichità e l’alto medioevo un contributo significativo per lo studio delle dinamiche insediative e dei rapporti tra l’antica Catina ed il territorio rurale circostante viene dagli scavi condotti negli anni Novanta del secolo scorso proprio alle pendici della collinetta di Monte Pò, che – come ricordato in premessa – dominava a sud l’asse viario di collegamento tra l’entroterra etneo e l’antica città di Catania ed era dotato di cippi che definivano i fundi di un Vibio Severo del III o IV secolo d.C.; una strada di attraversamento della contrada Nesima, dove proprio alle pendici settentrionali è documentato il sito definito “area archeologica” nello strumento urbanistico moderno di Catania.

In conci di pietra lavica erano sia i resti dei muri perimetrali sia le basi dei pilastri che tripartivano l’aula cultuale della così detta basilichetta bizantina, scoperta alla fine degli anni Venti da Libertini nella sopracitata “area archeologica” posta alla falde settentrionali della collinetta di Monte Po’; questo edificio, che per la sua configurazione semipogeica doveva avere destinazione funeraria, possedeva una ricca decorazione architettonica (talora realizzata con materiali provenienti da edifici classici) come dimostrato dai numerosi frammenti di plinti, colonne, capitelli, rivestimenti di pilastri con scanalature, recuperati nel corso dello scavo degli anni Venti e come ulteriormente provato dalle campagne di scavo condotte dalla Soprintendenza di Catania tra il 1992 ed il 1995.

A seguito, infatti, di questi ultimi scavi sono stati recuperati altri elementi marmorei, tra cui il frammento di un capitello bizantino, di finissima fattura, e parte di una cornice con motivo floreale a rilievo di età tardo imperiale.

Le recenti indagini oltre a confermare la tesi di Biagio Pace dell’esistenza di un borgo bizantino alle falde della collina di Monte Po’ con allusione al mons pagus di età classica, a cui fa riferimento lo Sciuto Patti, hanno dimostrato come su un preesistente insediamento di età tardoantica si sia impostato in età medievale un complesso architettonico, a cui apparterebbe la poderosa struttura absidale con paramento in conci di pietra lavica (dim. corda ca. m 8,00), riportata alla luce, abside che con i muri ad essa collegati configura la planimetria di una basilica mononave a croce latina di età medievale, facente parte forse di un complesso conventuale.

L’area, dunque, compresa nella proposta del Parco fu certamente interessata da insediamenti abitativi e sepolcrali in età romana – imperiale (considerato altresì che in essa sono compresi i resti di un acquedotto antico e di un impianto termale di età romano imperiale nel territorio comunale di Misterbianco) e successivamente in età medievale da una basilica e da una fortificazione, i cui resti sono ancora esistenti e da valorizzare.

Argo

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