Urbanistica partecipata, a Catania decide Musumeci

E’ davvero iniziata la sperimentazione di un nuovo metodo di confronto, basato sull’ascolto dei cittadini, delle associazioni e delle parti sociali, per riqualificare e riconvertire le strutture sanitarie dismesse? O, in termini ancora più ampi, per lavorare ad una rigenerazione urbana partecipata?

Così è stata presentata la grande kermesse di mercoledì pomeriggio sul sito Facebook del Comune che a noi – molto onestamente – è apparsa piuttosto come una grande operazione di autopromozione pubblicitaria, una passarella in cui hanno sfilato assessori comunali e regionali, consulenti e tecnici, docenti universitari e amministratori, tutti impegnati a complimentarsi reciprocamente per il grande lavoro profuso in favore della città, e soprattutto per aver creato un’occasione ‘unica’ di coinvolgimento delle realtà cittadine.

Tre ore e mezzo di webinar, dove l’unica cosa che è mancata è stato proprio il contraddittorio. E lo testimonia l’intervento che, più di tutti, ci è apparso rivelatore, quello del Presidente Musumeci.

Rivendicando il suo ruolo di decisore, anche se “dopo aver ascoltato tutti”, ha posto subito dei limiti al confronto che – ha detto – “deve avere un inizio e una fine, non può diventare un freno”. Ma chi stabilisce questi limiti? Chi definisce i tempi?

Su Santa Marta, ad esempio, è stato categorico. A suo parere, non c’era nulla su cui confrontarsi. “Bisognava solo demolire e fare la piazza, senza perdersi in polemiche pretestuose”.

Quanto poi al Museo dell’Etna, previsto per il padiglione san Marco dell’ex Vittorio Emanuele, “si farà, è nel programma del mio governo”. E così per la destinazione di altre aree ospedaliere, dall’Ascoli Tomaselli al Santo Bambino. Su tutto “l’uomo del fare” ha un progetto, una risposta, una decisione già presa o in procinto di essere presa, da uomo solo al comando. Non proprio il miglior viatico al dialogo.

A che pro, allora, lasciare che Francesco Mannino (Officine Culturali) e Salvo Castro (Antico Corso) denunciassero che un confronto andava iniziato molto prima, o che Castro ricordasse l’appello proposto sul Santa Marta da parte di 50 esperti, ben consapevoli delle problematiche urbanistiche, storiche, culturali, presenti nell’area, e lasciato cadere nel nulla?

Una domanda sorge spontanea, ma davvero il confronto con la città interessa i nostri amministratori? davvero nei tavoli di discussione, di cui già si annuncia l’apertura, si accetterà di mettere in discussione tutto quello che ci è apparso, di fatto, già deciso? Probabimente no.

Tutto il resto, anche gli interventi dei pochi esponenti delle associazioni che sono riuscite ad esprimersi, sono stati soprattutto ammantati di belle parole.

L’idea della cultura come strumento inclusivo per creare coesione sociale, l’invito a non dimenticare la riqualificazione del liceo Spedalieri (FAI), il progetto di fare di Catania una città europea attenta al bene comune (Legambiente), la necessità di scrivere insieme le regole del gioco partecipativo. Tutti obiettivi apprezzabili, prospettive interessanti ma vaghe, nulla di più.

Certo è non è stato da poco il tetativo di coinvolgere l’Università e l’Accademia delle Belle arti, la Soprintendenza e i dipartimenti universitari, gli ordini professionali e perfino i sindacati.

Tutti allineati e coperti, però, tutti concordi sui buoni propositi, che non hanno mai disturbato nessuno E pazienza se c’è la voragine sociale aperta dalla dismissione del Vittorio Emanuele, ricordata da Castro, pazienza se ci sono problemi sociali ed economici di enorme entità.

E se mettere le mani sul nostro Centro Storico non può che far tremare vene e polsi a chiunque voglia farlo con competenza, rispetto e scrupolo, a partire da un ripensamento serio e complessivo. Quello di cui mercoledì non si è vista neanche l’ombra.

Argo

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