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Cinque anni fa mille morti nel Mediterraneo

“Il 18 aprile 2015, un vecchio peschereccio di legno, salpato dalla costa libica, a quasi cento miglia dalle isole di Malta e Lampedusa, con una telefonata, chiedeva aiuto.

Il mercantile portoghese King Jacob, poco distante, veniva inviato a prestare soccorso. Il peschereccio si avvicinava all’imponente mercantile, che generava onde alte metri. La massa di uomini a bordo oscillava, lo scafo si inclinava, l’urto diveniva inevitabile. Il peschereccio si rovesciava su un lato, imbarcava acqua e, lentamente, si inabissava”.

Così Andrea Gentile (coordinatore area migranti Casa Valdese di Vittoria), ricostruisce la più devastante tragedia avvenuta nel mar Mediterraneo. Solo 24 persone saranno portate in salvo a Catania. Nel corso dell’anno il mare restituì poco più di duecento cadaveri.

Sarà necessaria una vasta mobilitazione della società civile perché venisse riportato a galla il relitto. Un appello promosso dalla Rete Antirazzista Catanese, che raccolse anche importanti adesioni internazionali, denunciava il fatto che “a quasi 3 mesi da quell’orrendo naufragio ancora non si provvede al recupero del relitto. […] Renzi si è impegnato a procedere al recupero con fondi europei  o del solo governo italiano. Non vorremmo assistere alle solite promesse non mantenute, come è già successo per il mancato recupero del relitto dell’F174, che giace ancora nei fondali al largo di Portopalo dal ’96”

Nel 2016, quando finalmente venne effettuato il recupero, si capì che almeno mille persone erano presenti sul barcone nel momento dell’affondamento, solo in pochissimi saranno identificati e riconosciuti.

In Italia, anche di fronte a un dramma di tale portata, la destra continuava a chiedere il blocco navale, mentre lacrime di coccodrillo venivano versate dall’Unione Europea, nello stesso momento in cui veniva preso il solenne impegno di evitare altri morti in mare.

Nel primo anniversario una grande manifestazione euromediterranea attraversò Catania. Basta naufragi, no alla guerra, libertà di movimento le parole d’ordine principali.

“Ci opponiamo con tutti i mezzi – si legge nel volantino che indice il corteo – ad un’ulteriore militarizzazione delle nostre coste e dei nostri mari, non possiamo restare a guardare mentre migliaia di donne, bambini e uomini muoiono nel Mediterraneo. La Fortezza Europa, soprattutto nel 2015, ha gettato la maschera: le polizie dei paesi europei dell’est hanno sparso centinaia di km di filo spinato lungo le frontiere, quelli dell’ovest hanno sospeso Schengen ed imposto l’esproprio dei miseri beni dei profughi per ‘ripagarsi’ l’eventuale asilo politico. […]

Per salvare vite umane occorrono: corridoi umanitari con il nord Africa ed il Medio Oriente (nei paesi limitrofi alle zone di guerra), un cambiamento radicale delle politiche sull’immigrazione e l’istituzione di un diritto d’asilo europeo”. Parole e prospettive che nell’Europa dei “porti chiusi” non potevano essere realizzate.

E, infatti, ci ricorda ancora Gentile “Negli ultimi cinque anni, mentre la guerra in Libia diveniva ogni giorno più feroce, perdevano la vita dodicimila uomini e donne, nel tentativo di percorrere la rotta del Mediterraneo centrale, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni”.

“Dodicimila morti dopo, esattamente come cinque anni fa – conclude Gentile – oggi non c’è una sola imbarcazione pronta a salvare vite nel Mediterraneo centrale. Che sia di una guardia costiera, di una marina europea, o di una organizzazione non-governativa”.

Argo

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