Soccorso in mare, perchè il giudice non ha convalidato l'arresto di Carola Rackete

Dopo pochi giorni dall’epilogo della vicenda che ha interessato la nave Sea Watch 3 comandata da Carola Rackete, la storia si ripete, ma il governo italiano questa volta sfida a braccio di ferro la sua stessa società civile.

Il veliero della ong italiana Mediterranea Saving Humans ha attraccato al porto di Lampedusa e stanotte i naufraghi soccorsi sono finalmente sbarcati e tratti in salvo. Il veliero però è sotto sequestro e il capitano, Tommaso Stella, sotto indagine per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

In attesa di sapere come si evolverà questo ulteriore procedimento penale, pubblichiamo l’ordinanza con cui il GIP di Agrigento, nella fase cautelare del processo che vede indagata la capitana Carola Rackete per i reati di resistenza o violenza contro nave da guerra (art. 1100 Codice della Navigazione) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 codice penale), non ha convalidato l’arresto dell’indagata.

E ha rigettato la richiesta del PM di applicare la misura cautelare del divieto di dimora ad Agrigento non ritenendo le condotte della capitana penalmente rilevanti.

L’ordinanza, oltre a ricostruire i fatti occorsi dal 12 giugno, giorno del salvataggio in mare, fino all’ingresso nel porto di Lampedusa avvenuto il 29 giugno, illustra dettagliatamente e in modo comprensibile a tutti il quadro normativo che regola il soccorso in mare esplicitando due concetti fondamentali:

  1. Un’operazione di soccorso in mare non riguarda esclusivamente la presa a bordo dei naufraghi, ma si ritiene conclusa solo quando le persone sono condotte in un porto sicuro ove è possibile fornire loro assistenza.
  2. Nella gerarchia delle fonti giuridiche, le norme sovranazionali e nazionali che regolano questa materia sono sovra ordinate rispetto a direttive ministeriali o decreti legge e impongono degli obblighi sia sui capitani delle navi che operano il soccorso sia sulle autorità statali coinvolte.

Nel caso in esame, questo significa che gli obblighi gravanti sulla capitana della nave per completare le operazioni di soccorso non erano in alcun modo derogabili né per effetto delle direttive ministeriali in materia di “porti chiusi”, né per effetto del divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque territoriali italiane adottato il 15 giugno nei confronti della Sea Watch 3 ai sensi del cd. decreto sicurezza-bis.

Mentre la capitana della ong tedesca ha operato secondo giustizia, il governo italiano, provando a impedire con tutti i mezzi possibili l’attracco della motonave, ha violato l’obbligo in capo alle sue autorità di prestare soccorso e prima assistenza allo straniero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare.

Naufraga così l’ennesimo tentativo del nostro governo di criminalizzare chi rispetta la legge e lavora per il rispetto del più basilare diritto umano, la vita.

Argo

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