C’è una umanità vera nel dipinto di Caravaggio, trafugato e mai ritrovato, che rappresenta la Natività.
I volti, le espressioni, i gesti, gli abiti sono quelli di uomini e donne semplici, rappresentano quella umanità reietta e sofferente che il pittore aveva ben conosciuto nella sua vita tormentata.
Il furto dell’opera (Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi), che risale al 1969, è stato seguito da anni di inutili ricerche e poi raccontato dai pentiti di mafia.
Dopo aver confessato di esserne gli autori, non hanno dato, però, nessun contributo al suo ritrovamento raccontandone ora la distruzione, ora il trasferimento all’estero ora lo smembramento in pezzi da vendere sul mercato clandestino dell’arte.
Il mistero sulla fine di questo capolavoro sembra quasi rappresentare la difficoltà, oggi, di ritrovare il senso della bellezza pura, disinteressata.
E soprattutto di riscoprire il valore di una tradizione religiosa, il Natale, che ci parla di una salvezza che nasce dalla condivisione.
Un Dio che si incarna, che sceglie di nascere e vivere tra gli umili, di condividerne sentimenti, sofferenze e speranze, è un’immagine molto lontana dalla religiosità che ostenta rosari e simulacri di madonne ma nega l’accoglienza e il rispetto per gli ultimi, indipendentemente dal colore della pelle.
Lo ha fatto a San Salvatore di Fitalia, in provincia di Messina, e ha spiegato il senso del proprio intervento, mettere alla portata di tutti un’opera classica, tanto più se perduta.
“Quando dico tutti intendo la gente della strada, persone che non hanno l’occasione o la spinta per andare a cercare le opere classiche nei musei” scrive il pittore.
E aggiunge “Questo lavoro diventa la perfetta occasione per raccontare il progetto utopico a cui sto lavorando: realizzare il più grande museo diffuso al mondo, un’enorme pinacoteca a cielo aperto che riproduca le grandi opere dei classici. Un progetto che sia porta di ingresso verso i musei dove le opere originarie sono esposte e per un recupero del classicismo nel contemporaneo”.
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