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Il sistema giuridico discriminatorio di Israele, il diritto all’acqua

Le ragioni della resistenza dei Palestinesi sfuggono spesso a molti  di noi, complice il silenzio dei mass-media.
Riteniamo opportuno ricordarle e ci proponiamo di esaminare via via alcuni degli aspetti del sistema giuridico discriminatorio di Israele, per non fermarci solo alla indignazione di fronte alla barbara uccisione da parte dell’esercito israeliano di molte decine di Palestinesi che, in occasione dell’anniversario della Nakba, manifestavano contro il regime di occupazione.
Cominciamo oggi dalla

Violazione del diritto all’acqua

Nella regione semi-arida le risorse di acqua da lungo tempo sono scarse e vi è una minaccia di eccessiva estrazione. Un segnale di questa situazione è la riduzione di un metro all’anno del livello del Mar Morto.
Dalla conquista del 1967 Israele ha il controllo completo dell’accesso dei Palestinesi alle risorse idriche nella Cisgiordania, comprese le Aree A, B e C.
Israele fornisce ai coloni ebrei acqua per uso domestico e agricolo, che invece nega ai Palestinesi.
Questa politica ha recato beneficio all’economia dei coloni, mentre ha danneggiato quella dei Palestinesi, il cui settore agricolo, in rapporto alle potenzialità con l’accesso all’acqua, ha perso più di 110.000 posti di lavoro, secondo la Banca Mondiale.
Gli insediamenti ebraici, che usano l’acqua per produrre beni agricoli, poi esportati dalla Compagnia Agrexco, sono serviti da pozzi nella Cisgiordania (largamente nella Valle del Giordano) e dalla rete idrica nazionale israeliana, che a sua volta estrae l’acqua dalle vene acquifere che scorrono sotto la Cisgiordania occupata.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il consumo medio israeliano di acqua pro capite è 4.3 volte quello dei Palestinesi.
Nella Valle del Giordano, gli insediamenti agricoli di circa 9.000 coloni ebrei consumano circa un quarto della quantità totale di acqua consumata dall’intera popolazione palestinese della Cisgiordania, circa 2.5 milioni di persone.
Secondo una stima dell’ONU, circa 60.000 Palestinesi residenti nell’area C mancano di accesso all’acqua corrente e devono pagare alti prezzi per le autobotti, che a loro volta necessitano di permessi speciali dalle autorità israeliane.
In particolare, le restrizioni di acqua hanno gravemente colpito le comunità beduine palestinesi, molte delle quali non hanno alcun accesso a fonti d’acqua.
La creazione di infrastrutture idriche per servire i coloni ebrei e la deviazione delle risorse d’acqua dei Palestinesi è discriminatoria.
La disponibilità ineguale dell’accesso alle risorse idriche non è giustificata da nessuna ragionevole preoccupazione di sicurezza o da altre necessità.
Gli effetti delle restrizioni discriminatorie all’accesso all’acqua, compresi i divieti di scavare pozzi e dell’accesso al Fiume Giordano, e la distruzione di condutture, serbatoi e cisterne, sono stati così gravi da aver forzatamente dislocato i residenti di parecchie comunità palestinesi, configurando così una grave violazione del divieto di trasferimento non volontario dei residenti di un territorio occupato dalle loro case.
(Fonte: Divisi e disuguali. Il trattamento discriminatorio di Israele nei confronti dei Palestinesi nei territori palestinesi occupati. Human Rights Watch, dicembre 2010)
Per capire meglio quanto detto, forniamo alcune informazioni su cosa imponga il diritto internazionale ad una “potenza occupante” e su cosa si intenda per aree A, B e C della Cisgiordania.

Obblighi delle potenze occupanti

Gli obblighi di Israele concernenti il rispetto dei diritti umani possono essere desunti dalla Convenzione dell’Aia del 1907, e dalla IV Convenzione di Ginevra del 1949: “La potenza occupante non potrà mai procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della propria popolazione civile sul territorio da essa occupato”.
Nel giugno 1967, con la Guerra dei 6 Giorni, Israele occupa militarmente Gaza e la Cisgiordania.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con la risoluzione 242/1967, chiede il ritiro israeliano ex art. 2 della Carta dell’ONU. Seguono decine di risoluzioni di condanna di Israele da parte dell’ONU.
Dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU, luglio 2004, rileviamo:
n. 78: “Gli eventi successivi (alla Guerra dei Sei Giorni) non hanno alterato questa situazione. Tutti questi territori, incluso Gerusalemme Est, rimangono territori occupati e Israele continua ad avere lo status di potenza occupante”.
n. 112: “I territori occupati da Israele sono stati soggetti per oltre 37 anni alla sua giurisdizione territoriale come potenza occupante”.
Israele è soggetto alle norme del Diritto Internazionale sui Diritti Umani.
E’ quindi chiaro che, in quanto potenza occupante nella Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, Israele ha degli obblighi concernenti i diritti umani nei confronti di tutte le persone sotto il suo controllo, come è stato affermato dalla Corte Internazionale di Giustizia e da altri corpi internazionali.
In questo senso, Israele è obbligato ad assicurare il benessere della popolazione occupata e a limitare le proprie azioni secondo la legge di occupazione stabilita nel diritto internazionale.
E’ ampiamente riconosciuto che gli insediamenti israeliani nella Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, violano il diritto internazionale, che proibisce alla potenza occupante di trasferire la propria popolazione civile nei territori che occupa; Israele è il solo Paese che contesta che i propri insediamenti siano illegali.
Per converso, il trasferimento non necessario e praticamente forzato della popolazione occupata da parte della potenza occupante in altre parti del territorio, attraverso demolizioni illegali di case o altre misure che rendono impossibile restare in una determinata comunità, è una grave violazione degli obblighi di Israele secondo la legge di occupazione.
La confisca di terre e di risorse naturali da parte di Israele, a beneficio degli insediamenti eccede la sua autorità come potenza occupante.

Le aree A, B e C della Cisgiordania

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Con gli accordi di Oslo del 1993 e poi del 1995 (Oslo 2) viene definita la situazione delle aree amministrative A, B e C della Cisgiordania.
L’accordo denominato “Oslo 2”, firmato da Israele e dall’OLP nel settembre 1995 divide la Cisgiordania (esclusa Gerusalemme Est) in tre Aree amministrative, A, B, C.
L’Area A include le città palestinesi, comprende il 18% del territorio della Cisgiordania ed è sotto il controllo civile e militare dell’Autorità Palestinese (AP).
L’Area B comprende il 22% del territorio con molti villaggi palestinesi ed è sotto il controllo civile dell’AP, mentre Israele ne mantiene il controllo militare.
L’Area C, cioè il restante 60% della Cisgiordania con circa 340.000 ettari di terra, rimane sotto il totale controllo israeliano e comprende insediamenti ebraici, strade principali, terre agricole e villaggi palestinesi corrispondenti a circa il 4% della popolazione palestinese.
In realtà, oggi, questa divisione amministrativa è poco più che carta straccia.
Di fatto, l’esercito israeliano, se lo ritiene opportuno, interviene come e quando vuole, persino nell’area A (teoricamente sotto il controllo civile e militare dell’AP), come infiniti episodi di cronaca hanno dimostrato (vedi il caso di Hebron o di “caccia all’uomo” a Nablus, entrambe zona A).

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