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A Taormina fallisce il G7, a Giardini un corteo colorato

“E c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra”, cantava Lucio Dalla. A Giardini non si è arrivati a tanto, ma quasi tutti i negozianti, impauriti dall’arrivo di orde di devastatori, in occasione della manifestazione contro il G7, avevano provveduto, spesso con mezzi di fortuna (fogli di giornali, cartone) a coprire insegne e vetrine.
Per ultimo, il Sindaco, contribuendo con energia degna di miglior causa a creare scenari di paura, aveva imposto la chiusura di tutte le attività commerciali.
Non stupisce, perciò, la sorpresa dei cittadini di Giardini nel trovarsi di fronte a giovani e meno giovani “normali” che, con un corteo colorato e assolutamente pacifico, giorno 27 hanno espresso la loro radicale contestazione alle scelte del vertice dei capi di stato e di governo dei cosiddetti “sette grandi”.
Convinti, come si può leggere nel volantino della rete catanese, che “in un mondo nel quale gli 8 uomini più ricchi dispongono di risorse uguali alla somma di quelle a disposizione di 3,6 miliardi di persone più povere, questa riunione servirà a ribadire differenze e privilegi. Servirà a confermare ed estendere gli scenari di guerra, la cosiddetta esportazione della democrazia, alimenterà le ingiustizie sociali e il razzismo. Mentre i/le migranti muoiono le merci sono libere di circolare; non deciderà nulla, nonostante la drammatica crisi ambientale, per fermare la devastazione del pianeta”.
Parole, peraltro, confermate dall’esito fallimentare del vertice.
Ben presto, perciò, la tensione creata ad arte è stata superata, molti cittadini hanno applaudito, dalle loro case, il passaggio del corteo, qualcuno, addirittura, vi ha preso parte.
E quando, alla fine, c’è stato l’unico momento di tensione, durante il quale le forze dell’ordine hanno fatto uso di lacrimogeni, molti cittadini hanno dato acqua e limoni ai manifestanti per ridurre gli effetti dei gas.
Ovviamente, questo pseudoscontro per tanti, troppi, media è diventato l’avvenimento principale, la cifra della manifestazione. Una lettura del tutto fuorviante, confermata dal fatto che quando i manifestanti hanno lasciato Giardini il lungomare era ‘pieno di persone’, come in un qualsiasi sabato pomeriggio.
Al corteo hanno partecipato circa duemila persone. Poche? tante?
Probabilmente, però, la domanda è un’altra. I partecipanti interpretavano un sentire comune di preoccupazione e lontananza rispetto a chi si riuniva a Taormina, il fastidio/rifiuto di città blindate, come Catania, per permettere svago e shopping a ‘grandi e consorti’?
In sostanza, c’è una connessione sentimentale fra chi manifesta e coloro che stanno a casa?
A Catania, il 26 e il 27, il movimento No G7 ha provato, con quello che, forse, in modo un po’ esagerato è stato chiamato “Controvertice dei popoli” a costruire questo ponte, ragionando sul fatto che un altro mondo è necessario.
Scrive Pinella Leocata su La Sicilia “Al controvertice nessuno si attendeva nulla dal G7 di Taormina. E non solo perché ‘questi vertici fanno l’interesse delle imprese, non quelli dei popoli’, ma perché ‘la politica non governa più l’economia’ e i rappresentanti delle grandi potenze “sono pupazzi nelle mai delle multinazionali e del “capitalismo finanziario che accumula ricchezze enormi nelle mani di pochi, saccheggia le risorse del pianeta e distrugge l’ambiente creando le condizioni per guerre e migrazioni”.
Un sentire comune declinato in base alle esperienze dei partecipanti, dall’indigena guatemalteca Li, al francescano messicano Castillo, dai rappresentanti tunisini a quelli curdi, passando per le testimonianze dei movimenti di base italiani su migrazione, militarizzazione del territorio (con al centro la mobilitazione contro il MUOS), lotta alle mafie e per i diritti ambientali.
Un ragionamento comune che può essere sintetizzato, come scrive Leocata, dalle parole di Stefania Tarantino (Rete delle Città vicine) che ha sottolineato la necessità di “una lotta politica altra che parta dal superamento della gestione proprietaria della terra e degli esseri umani , dalla riscoperta del lavoro di cura, anche della terra, che restituisce la gioia di stare al mondo, al di là del tornaconto economico”.
Unico vero antidoto per impedire quella che Franco Coppoli (Cobas) ha chiamato precarizzazione della vita, prodotta dal passaggio dallo stato sociale all’economia di guerra e caratterizzata da muri e recinzioni che escludono la maggioranza della popolazione dai beni comuni.
Album foto di Maurizio D’Andrea (click sulla foto per andare all’album)

Argo

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