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L’ombra di Provenzano dietro la morte di Attilio Manca

La mafia ordina “Suicidate Attilio Manca”. E’ questo il titolo del libro scritto da Lorenzo Baldo, vicedirettore di AntimafiaDuemila, presentato in molte città italiane, tra cui Catania, nel febbraio scorso.
Il sottotitolo avrebbe potuto essere “infangatene la memoria”, perché proprio questo è stato fatto dal momento del rinvenimento del cadavere di questo brillante e promettente urologo di Barcellona Pozzo di Gotto, il 12 febbraio 2004 a Viterbo, città dove esercitava la sua professione presso l’Ospedale Belcolle.
Secondo l’autopsia, la causa della morte va individuata in un mix di sostanze: alcool, eroina, Diazepan. Manca viene subito “bollato” come tossico e suicida.
A cominciare dagli inizi della procedura investigativa avviata dalla procura di Viterbo, come riferisce Baldo nell’intervista all’avvocato della famiglia Manca, Fabio Repici, “la prima impressione fu di enorme approssimazione e imbarazzanti lacune. Il medico legale incaricato dal pubblico ministero di espletare l’autopsia aveva omesso di rispondere al primo e più banale dei quesiti, la data e l’ora presunta della morte di Attilio Manca. L’impressione netta che si trae dagli atti è che il pubblico ministero e la Squadra Mobile di Viterbo fossero interessati più a dimostrare che Attilio Manca fosse dedito alla droga che a individuare i responsabili della sua morte”.
Da qui la formulazione della teoria della tossicodipendenza “sotto controllo”, cioè un uso della droga solo nei momenti di depressione, oppure di un presunto esame tricologico, per accertare l’incidenza del tranquit (un tranquillante) quale concausa della morte dell’urologo, di cui però agli atti non risulta nulla.
Nell’interrogazione parlamentare del 25 novembre 2014, il senatore del M5S Vincenzo Santangelo denuncia “le molte sviste, le omissioni e le incongruenze presenti nell’inchiesta: per esempio il mancato rilievo delle impronte digitali sulle siringhe (trovate accanto al morto).
Senza dimenticare il fatto che Manca in quanto mancino non avrebbe potuto iniettarsi sul braccio sinistro la dose letale”.
Che dire poi della telefonata con cui “la Polizia di Barcellona” – si legge ancora nella interrogazione riportata da Baldo – “invece di informare i genitori di Attilio della disgrazia, informò i genitori del cugino Ugo Manca, allora sotto processo per traffico di stupefacenti .
La figura di Ugo Manca ci porta nella cittadina di Barcellona Pozzo di Gotto dove è presente una delle mafie più pericolose sia per le centinaia di morti ammazzati sia perché è proprio in quel luogo che fu costruito il telecomando per la strage di Capaci in cui morirono Falcone, la moglie e la scorta.
Ci porta anche ai poteri forti come il circolo “Corda fratres” a Barcellona, frequentato da boss importanti come Giuseppe Gullotti, mandante del delitto del giornalista Beppe Alfano, e Rosario Pio Cattafi, imprenditore legato ai servizi segreti.
Ci sono poi le intercettazioni ambientali come quella di Vincenza Bisognano, sorella del boss barcellonese Carmelo, la quale mentre si trovava in macchina con il suo convivente e altri due amici, parlando della morte di Attilio Manca, la associava alla presenza di Bernardo Provenzano a Barcellona.
A un certo punto, parlando di Provenzano che era stato nascosto a Barcellona per un certo periodo, a chi dice “Però stu figghiolu era a Roma a cu avia a dari fastidio?”, la Bisognano risponde “perché aveva riconosciuto lui.
Ma ci sono anche le dichiarazione di pentiti. Giuseppe Setola del clan dei Casalesi, Carmelo D’Amico ex boss pentito di Barcellona secondo il quale Manca sarebbe stato ucciso da un agente dei servizi segreti bravo a far passare gli omicidi per suicidi, Stefano LoVerso che a Caltanissetta, nel corso del processo quater di Borsellino, ha fatto intendere di conoscere i retroscena del delitto, Giuseppe Campo ex picciotto della provincia di Messina che racconta di esser stato incaricato di uccidere Manca nel dicembre del 2003, incarico poi revocato perché il medico era stato ucciso a Viterbo.
Il libro di Baldo ripercorre tutte le tappe di questa triste vicenda facendo un’opera di attenta e scrupolosa ricostruzione dei fatti attraverso una ricca quantità di documenti, testimonianze, fonti raccolte in tutti questi anni durante i quali si sono susseguite, da parte della procura di Viterbo, ben quattro tentativi di archiviazione sulla morte dell’urologo.
La fiera opposizione della famiglia del medico attraverso i suoi legali, Fabio Repici e – dal 2013 – l’ex magistrato Antonio Ingroia, ha permesso di mantenere viva l’attenzione e l’impegno nella ricerca della verità. La loro tesi è che Attilio Manca abbia visitato il capo di Cosa nostra Bernardo Provenzano, prima o dopo il suo intervento alla prostata realizzato in Francia nell’autunno del 2013, e per questo sia stato eliminato,
In Commissione antimafia l’8 aprile 2015 Ingroia aveva ribadito che “l’ipotesi più plausibile sia che Attilio Manca sia rimasto vittima del muro di gomma eretto attorno a Bernardo Provenzano, perché Provenzano era il garante sul versante mafioso della trattativa Stato-Mafia”.
Dichiarazioni trancianti, le definisce Baldo, che rafforzano la tesi di una indagine condotta con superficialità.
Nelle ultime pagine del libro l’autore ci racconta di aver tentato di parlare con Monica Mileti conosciuta da Attilio Manca tramite un amico architetto di Barcellona. Persona non estranea al mondo della droga, la donna avrebbe fornito al medico la droga.
Alla domanda se fosse consapevole di essere in tutta questa storia ‘il capro espiatorio‘ dietro cui si celavano altre persone, rispondeva con convinzione “Sì lo so”. Qualche giorno fa il Tribunale di Viterbo l’ha condannata a 5 anni e 4 mesi di reclusione e a pagare una multa di 18 mila euro.
Facendo tesoro delle parole di Pierpaolo Pasolini, Baldo si congeda dai suoi lettori con un “Io so, ma non ho le prove”, elencando in maniera puntuale tutti i passaggi della lunga storia del suicidio-omicidio di Attilio Manca.
E’ in corso una raccolta di firme sull’appello della famiglia Manca alla Procura di Roma perchè non chiuda il fascicolo aperto contro ignoti sotto la dicitura “omicidio volontario” e porti avanti l’inchiesta.

Argo

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