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Jala, Mohammed e gli altri cittadini di Sutera

Un’accoglienza modello. Per essere divenuta un modello di accoglienza dei richiedenti asilo, Sutera, piccolo centro in provincia di Caltanissetta, ha avuto l’onore di un articolo sul Time di Londra, “Come un paese siciliano ha imparato ad amare i migranti”, di Lorenzo Tondo.
Ha dovuto imparare, perchè c’è da dire che “alcuni residenti di Sutera guardavano con sospetto all’arrivo dei primi richiedenti asilo”, una reazione comprensibile, considerato che “in tutta la Sicilia delitti e assalti erano attribuiti ai migranti, a volte falsamente.”
Eppure “noi Italiani siamo stati migranti in passato. E non tutti quelli di noi che sono sbarcati ad Ellis Island, negli USA, erano brave persone. Dopo tutto noi abbiamo esportato la mafia a New York dalla Sicilia.” A parlare è Mario Maniscalco, studente universitario di 26 anni, nato e residente a Sutera.
La diffidenza verso gli stranieri immigranti è ormai un ricordo, le cose sono cambiate e in modo radicale, tanto che nello scorso mese di aprile, quando circa 700 migranti sono annegati nel mar Mediteraneo, “centinaia di anziani e giovani si sono radunati nella grande piazza di Sutera e hanno disegnato con il gesso il profilo del continente africano, illuminandolo con candele”. Poi, nativi e nuovi arrivati, hanno pregato per tutta la serata.
Tra di loro, nella piazza, dice ancora Mario, vi erano persone che non volevano i rifugiati a Sutera ma io li ho visti “piangere insieme agli immigrati.”
Certamente c’è stato un sussulto di umanità, gli abitanti del paese hanno capito che coloro che arrivano “non rischiano la propria vita in mare per una vacanza divertente” ma perchè perderebbero comunque la vita se restassero nella loro terra.
Ma c’è un altro motivo, non secondario, che ha permesso agli abitanti di Sutera di apprezzare i richiedenti asilo: hanno capito che l’arrivo di questi rifugiati sta salvando il paese, ripopolandolo e permettendo ad alcune attività economiche di rifiorire.
Ormai ridotta a mille e cinquecento anime, con le case lasciate vuote da chi si è trasferito in Germania o in Gran Bretagna, la scuola ridotta a una sola classe con sei alunni, “Sutera stava scomparendo”. Lo dice Giuseppe Grizzanti, il sindaco che ha scommesso sull’accoglienza di 200 migranti, grazie ai quali “abbiamo una possibilità di far rivivere la città.”
E in effetti la scuola ha avuto un afflusso di nuovi alunni procurando anche lavoro agli insegnanti e anche altre attività economiche come farmacie, macellerie, supermercati e bar ne hanno beneficiato.
Oggi “ogni mattina gli anziani di Sutera sorseggiano il caffè con i loro vicini, chiacchierano, raccontano barzellette e imparano alcune parole delle reciproche lingue” scrive Tondo.
E’ l’Unione Europea a garantire ai rifugiati una modesta somma di denaro perchè possano soddisfare le necessità più impellenti.
Poi inizia la ricerca del lavoro. Alcuni lo hanno trovato in altre parti d’Italia e hanno lasciato il paese.
Altri hanno trovato un’occupazione nella stessa Sutera, come Jala, una donna pachistana di 30 anni che lavora come cameriera in uno dei ristoranti del paese o come Mohammed, trentaquattrenne siriano, che lavora con gli agricoltori del posto o come Binta, che provenie dal Gambia e si prende cura degli anziani, pulendo le loro case e cucinando i loro pasti.
Anche Alex Ukunboru, arrivato dalla Nigeria con la moglie, spera di poter lavorare non troppo lontano da Sutera, tra alcuni mesi diventerà padre e sarebbe contento se suo figlio potesse crescere in questo paese. “Qui ci sentiamo cittadini e siamo trattati con rispetto da tutti” dice Assoma, molti dei cui conterranei, “sparsi per il resto d’Europa, vivono ancora nei campi o nelle tendopoli, al freddo e senza alcuna privacy”.
Posti davanti al bivio di “chiudere le porte o aprirsi ai rifugiati”, gli abitanti di Sutera hanno fatto un passo avanti e hanno deciso di “abbracciarli”, per usare le parole di Maniscalco.
Adesso, conclude Tondo “altri paesi hanno imitato Sutera trovando che l’arrivo dei migranti offra opportunità piuttosto che creare problemi.”
Un bell’esempio di accoglienza e di integrazione che ci auguriamo abbia un seguito e si diffonda conservando le caratteristiche di gestione ‘pulita’ che sembrano trasparire da questo racconto, perchè spesso -come abbiamo visto- i migranti sono diventati pretesto di speculazioni non proprio edificanti.
Puoi trovare una traduzione libera dell’articolo di Lorenzo Tondo a questo link

Argo

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