Sant’Agata è conosciuta e, vorremmo dire, presente, in molte città italiane, che le hanno dedicato chiese, quadri e affreschi.
Diffusi su tutto il territorio nazionale, e persino all’estero, anche i circa duecento manoscritti che riportano gli ‘atti’ della santa, pervenutici in tre redazioni, due greche e una latina, redatte nella seconda metà del V secolo, molto simili tra loro e probabilmente discendenti da un originale comune perduto.
Manoscritti che si trovano in Piemonte, Emilia, Toscana e in altre regioni italiane, ma anche fuori dai confini nazionali, in Belgio, Francia e Germania.
Uno di questi manoscritti, il 173, conservato nella biblioteca capitolare della città di Trento, è stato oggetto di una tesi di laurea, pubblicata anche su internet
Si tratta di affreschi, in parte danneggiati dall’umidità e in parte perduti per l’apertura della porta della sacrestia e l’ampliamento della finestra, realizzati da membri di una famiglia di pittori itineranti del XV-XVI, i Baschènis.
La scena del martirio la rappresenta legata ad una struttura a forma di croce con due carnefici vestiti “secondo la moda dei soldati svizzeri prima, e dei lanzichenecchi poi” (Passamani) che le strappano i seni con le tenaglie.
E’ rappresentata poi la santa riportata davanti al console e di nuovo in prigione, la deposizione del suo corpo nel sepolcro e la punizione del console, dove il malvagio Quinziano “caduto da cavallo viene da quello con un calcio gettato nel fiume dove annega”.
Originariamente ogni riquadro era corredato da un’iscrizione esplicativa dipinta nell’incorniciatura bianca inferiore, di cui rimangono poche tracce.
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