Tutto regolare, verrebbe da dire. In effetti, la situazione è decisamente più complicata e richiede, perlomeno, una valutazione sulla organizzazione e sulla qualità dell’offerta.
Appare, infatti, incredibile che in una città come Catania il servizio sia, allo stato attuale, in grado di interessare solo poco più di 350 bambini, mentre la stessa Amministrazione ne aveva previsto circa 740.
Se il dato fosse frutto di un drammatico calo della natalità, nessuna polemica. In realtà, basta guardarsi in giro per verificare la presenza di una miriade di strutture private, allocate, spesso e diversamente da quelle comunali, in appartamenti dignitosi per una civile abitazione, ma poco coerenti rispetto alle esigenze dei piccoli fruitori e dove, in molti casi, chi lavora ha meno diritti, economici e normativi, rispetto a quanto stabilito dai contratti nazionali di settore.
Perché, quindi, mentre proliferano gli asili privati il pubblico versa in pessime condizioni?
In una conferenza stampa, svoltasi giovedì 8 nei locali dell’Assessorato, Catania Bene Comune e un nutrito gruppo di ausiliare hanno indicato i motivi principali delle attuali difficoltà nell’aumento generalizzato delle rette (in base al reddito dei richiedenti: ore 7,30/14,00 da un minimo di 55 a 255 euro; ore 7,30/18,30 da 145 a 290 euro), nel limitato numero di posti a costo calmierato (anche in questo caso, però, si tratta di cifre molto più alte del passato) e in una cattiva pubblicizzazione dei servizi offerti (3 dei 14 asili sono in questo momento chiusi).
Venerdì 9 l’assessore Angelo Villari ha incontrato le forze sindacali. Una lunga discussione, figlia anche di una reale disponibilità all’ascolto, che, però, non ha registrato significative novità.
Sebbene tutti i presenti abbiano concordato sulla necessità di rilanciare quello che dovrebbe rappresentare un diritto più che un servizio, la maggior parte delle forze sindacali si è concentrata sulla ricerca di soluzioni in grado di ridurre, per quanto possibile, il numero dei licenziamenti.
Fuori dal coro, la Confsal, che ha chiesto di congelare la situazione, in attesa di rilanciare, a settembre, le iscrizioni e il servizio, e i Cobas. Questi ultimi hanno innanzitutto contestato il fatto che una parte del servizio sia esternalizzato (alla fine, la collettività paga di più senza avere nulla in cambio) e, soprattutto, visto che il calo delle iscrizioni non può che essere imputato a una cattiva politica, hanno rilevato che se oggi si procede con i licenziamenti, domani sarà molto più complicato, se non del tutto improbabile, rilanciare gli asili nido a Catania.
Il problema, per i Cobas, non è esclusivamente economico-normativo (in questo caso si dovrebbe, infatti, semplicemente prendere atto della situazione), ma rimanda alle scelte maturate dall’Amministrazione. E’ vero che gli Enti Locali hanno subito tagli giganteschi (va comunque rilevato che l’attuale maggioranza a Catania è la stessa di quella regionale
Intanto, nei prossimi giorni nuovi incontri fra assessore e forze sindacali.
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