Aziende confiscate, Pino Maniaci denuncia

“I mafiosi temono più la confisca dei beni che il carcere.” Quante volte abbiamo sentito questa litania, anche in questi tristissimi giorni di ‘mafia capitale’.
Eppure chi, come noi di Argo, ha provato a seguire, dopo il clamore dei primi giorni, le vicende di questi beni sequestrati, soprattutto quando si tratta di aziende, è costretto ad accorgersi che la legge che dovrebbe governare questa azione giudiziaria, in origine ispirata da Pio La Torre, alla fine non funziona.
Lo rimarca, in una petizione alla Commissione Antimafia, Pino Maniaci, il noto direttore dell’emittente Telejato, testata che ha fatto dell’antimafia militante il suo cavallo di battaglia, pagandone spesso salate conseguenze.
Maniaci ricorda che, solo a Palermo si tratta di un business di circa 30 miliardi di euro, che spesso però vanno in fumo perchè, nella maggior parte dei casi, queste aziende falliscono già durante il sequestro preventivo, anche prima di essere definitivamente confiscate.
Partendo dalla rilevazione che i tempi previsti dalla legge per il sequestro preventivo -massimo un anno- raramente vengono rispettati, Maniaci volge la sua attenzione alle figura dell’amministratore giudiziario a cui queste aziende vengono affidate, rilevando che troppo spesso vengono nominate sempre le stesse persone, malgrado dal gennaio 2014 sia stato attivato il relativo albo professionale.

Ma l’accusa più grave, che Maniaci sostiene di poter supportar con nomi, esempi, numeri e casi, è che “la dichiarazione di fallimento e la messa in liquidazione dei beni confiscati è la strada più facile per gli amministratori, perché li esonera dall’obbligo della rendicontazione e consente loro di “svendere” mezzi, attrezzature, materiali, anche con fatturazioni non conformi al valore reale dei beni, girando spesso gli stessi beni ad aziende collaterali legate agli amministratori giudiziari.”
Si tratta di affermazioni molto gravi che rendono la questione dei beni confiscati ancora più pesante di quanto già non sia, tenendo conto che il mancato funzionamento della legge genera allo stesso tempo un grave danno all’economia del paese e al bilancio dello Stato.
Altrettanto grave e forse irreversibile il danno culturale. Accresce infatti la sfiducia nello Stato, considerato che a pagare il prezzo di questa inefficienza con la perdita del posto di lavoro alla fine sono solo i dipendenti dell’azienda, i quali molto spesso niente hanno a che vedere con la mafia.
Se poi si aggiunge che il fallimento in fase di sequestro colpisce anche aziende che risultano pulite, il disastro è completo.
Leggi il testo della petizione, da firmare

Argo

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