Egiziano di nascita e studi, ha collezionato 9 lauree ad honorem in Università di tutto il mondo ed è stato candidato al Nobel per la Pace nel 1999. Ha inoltre un rapporto particolare con la Sicilia, essendo tra i fondatori dell’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali (ISISC) di Siracusa.
Proprio dallo stato di sviluppo del diritto penale internazionale ha preso l’avvio il seminario, il cui titolo è stato non più che un pretesto per Bassiouni che, forte dei numerosi ruoli ricoperti nell’ambito delle Nazioni Unite, ha offerto una panoramica storico-politica degli equilibri internazionali. Una vera e propria lectio magistralis, naturalmente con un focus particolare sul Medio-Oriente.
“Dalla seconda guerra mondiale al 2008 ci sono stati 313 conflitti nel mondo per un totale di 92 milioni di vittime. Possiamo ipotizzare dunque che vi siano stati almeno 1 milione di perpetratori”, ha spiegato Bassiouni. “Bene, volete sapere quante persone sono state processate dalle Corti internazionali? 827. Volete sapere a quanto ammontano le spese per questi processi? Quasi 1 miliardo e mezzo di dollari”.
Le cifre raccontano più di ogni altra cosa l’inefficienza attuale del sistema di giustizia penale internazionale e Bassiouni non ne nasconde le cause reali. Non cerca di rendere il suo discorso politically correct. Al contrario, cerca di evidenziare il conflitto tra le esigenze di giustizia internazionale e le scelte di geopolitica.
“Quando ricevetti l’incarico per indagare in Libia nel 2011, prima della cattura di Gheddafi fui inondato di fondi” – racconta Bassiouni – “Dopo la sua cattura, nel momento in cui avrebbe dovuto avere inizio il vero lavoro d’inchiesta, tutti i fondi sono stati tagliati e sono affiorati tutti i problemi burocratici”.
L’importante era la cattura del capro espiatorio, non indagare e far giustizia sui crimini commessi in Libia.
A suo parere l’appesantimento della burocrazia è lo strumento utilizzato a fini geopolitici per bloccare di fatto la giustizia internazionale. “Non è tanto il veto nel Consiglio di Sicurezza a bloccare il lavoro dell’ONU, quanto la burocrazia”, afferma Bassiouni.
Nessun tentativo di semplificazione nel discorso di Bassiouni, nonostante che, dinanzi a un mondo sempre più complesso e ad una sempre più forte settorializzazione delle conoscenze, domini la paradossale tendenza ad offrire risposte facili e approssimative.
Inutile, ad esempio, a suo dire, analizzare la Primavera Araba come un fenomeno unitario o definirla la rivoluzione democratica dei paesi nordafricani.
“Il terreno sismico è comune, ma i crateri sono profondamente diversi”, spiega il professore. L’“eruzione” egiziana è diversa da quella tunisina, così come dalla libica, e non si può prescindere dalla storia di ogni singolo Paese per comprendere i motivi di ogni rivoluzione. Allo stesso modo non si può parlare di risveglio democratico del Nord-Africa. Di “democratico” rimangono solo i primi 18 giorni della rivoluzione egiziana e la rivolta tunisina.
La lectio di Bassiouni ha offerto alla cittadinanza una vera e propria boccata d’ossigeno culturale in un periodo in cui l’opinione pubblica è letteralmente ubriacata da slogan e annunci e perde spesso aderenza alla realtà.
Il seminario assume ancor più rilevanza considerando che le dinamiche e gli
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