Sulfur, viaggio fotografico nelle viscere della terra

3 fotografe, 8 cave abbandonate e 40 scatti. Sono gli ingredienti di “SULFUR, una realtà che ci appartiene”, mostra fotografica firmata Officina delle Visioni che documenta quello che resta delle miniere di zolfo del Nisseno, famose per aver rappresentato la ricchezza di quei territori nell’Ottocento, ma anche per le condizioni di lavoro degli zolfatari, minatori grandi e piccoli. Questi ultimi soprattutto costretti a lavorare nelle miniere in condizioni durissime.
Questo reportage  rientra nel più ampio progetto dell’Associazione sull’archeologia industriale e “sociale”.
Il lavoro di documentazione sulle ex-miniere,  durato circa tre mesi, è nato quasi per caso: una visita al parco minerario di Floristella, scoperto casualmente curiosando su internet, aprì alle fotografe un mondo a loro completamente sconosciuto e le spinse a visitare le altre miniere della zona: Trabonella, Juncio- Tumminelli, Saponaro, La Grasta, Giffarò, Gessolungo, Trabia-Tallarita.
Siti completamente abbandonati, alcuni dei quali si potrebbero recuperare a fini turistici, con un’operazione simile a quella fatta per il parco di Floristella.
A catturare l’attenzione delle giovani reporter è la storia dei “carusi”, ragazzi che lavoravano in miniera in subappalto ai picconieri affiancandoli nel loro massacrante lavoro. Erano i genitori stessi dei bambini, infatti, a causa delle precarie condizioni economiche della famiglia, a chiedere che i propri figli potessero lavorare  nelle miniere.
Per rendere comprensibili queste condizioni di lavoro, le fotografe hanno chiesto a qualche amico e ai rispettivi figli di fare da “modelli”, in modo da ricostruire l’ambiente dell’epoca. In questo modo le miniere abbandonate sembrano riprendere vita, ripopolandosi di lavoratori, anche se solo per qualche minuto.
A completare il quadro le immagini del Cimitero dei Carusi, costruito nei pressi della miniera di Gessolungo in memoria della tragedia consumatasi nell’omonima miniera nel 1881, dove  morirono 132 lavoratori (19 dei quali minorenni) a causa di un incendio dell’intera “solfara” determinato dal gas grisoù, la cui presenza all’interno della miniera ne costituiva uno dei rischi maggiori.

Durante le loro ricerche le autrici della mostra hanno incontrato Primo David, appassionato CapoStazione di Villarosa e presidente dell’ “Associazione Treno Museo di Villarosa”. La stazione ferroviaria di Villarosa era passaggio obbligato per  tutti i minatori che, nella seconda metà del Novecento, persero il lavoro a seguito della crisi che investì lo zolfo siciliano a seguito della concorrenza di quello USA estratto con il metodo delle trivelle Frasch.
Iniziò così l’emigrazione verso il Belgio e la Germania per lavorare nelle miniere di carbone. Il ferroviere Primo ha trasformato vecchi vagoni merci depositati nella stazione in un treno-museo e lavora quotidianamente per la valorizzazione storica di Villarosa.
L’obiettivo della mostra è duplice. Da un lato si vuole far conoscere una realtà siciliana sulla quale i riflettori sono stati spenti da troppo tempo e dall’altro si vuole suscitare un’emozione in chi vede le foto.
Barbara, grande stimatrice del metodo fotografico della ritrattista Cristina Nunez fondato sull’autoritratto come esperienza terapeutica , ci spiega che è proprio su questo doppio binario che si sviluppa la fotografia introspettiva di cui si occupa l’associazione.
La mostra, a ingresso libero, è interamente allestita e organizzata da Officina delle Visioni e resterà aperta domani e dopodomani presso il Castello Leucatia (via Leucatia n°68), orari: 9,30 – 12,30 ; 16,30-19,30. 

Argo

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