321 sono i clan coinvolti, spesso grazie all’aiuto – si legge nel comunicato di Legambiente – “di funzionari o dipendenti pubblici consenzienti o decisamente disonesti che hanno semplificato iter e processi autorizzativi in cambio di sostanziose mazzette”.
Non occorreva la denuncia puntuale di Legambiente per capire quanto sia necessario rivedere la legislazione sul fronte della corruzione “perché è proprio l’area grigia dei funzionari pubblici corrotti che arricchisce e rende ancor più potente l’ecomafia”.
Per un terzo i reati riguardano il settore agroalimentare, oltre il doppio rispetto al 2012.
Il 22% interessano la fauna: commercio illegale di specie protette, abigeato, bracconaggio, allevamenti illegali, pesca di frodo, maltrattamenti e combattimenti clandestini. 8.504 denunce (di cui 1.344 in Sicilia), 67 arresti, 2.620 sequestri.
Il 15% sono relativi ai rifiuti (con oltre 3 miliardi di euro di fatturato), il 14% al ciclo di cemento (1,7 miliardi di euro). Settori certamente più produttivi rispetto agli incendi e ai sequestri di persona che nel 2013 sono diminuiti.
E’ probabile che per gli incendi abbia funzionato da deterrente anche la creazione del catasto delle aree bruciate e il monitoraggio messo in campo da un numero crescente di amministrazioni.
Le regioni interessate non sono solo quelle con prevalente influenza mafiosa, sebbene in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia avvengono il 47% dei reati ambientali. L’attività non è limitata neanche dai confini nazionali, pur di fare affari a scapito dell’ambiente, della cittadinanza tutta e dell’economia legale.
“Ci troviamo quindi – si legge ancora – di fronte ad una imprenditoria ecocriminale, caratterizzata da un vivace dinamismo, a cui fa da contraltare l’immobilismo della politica nazionale: nel nostro paese vige ancora una legislazione a tutela dell’ambiente del tutto inadeguata, a carattere sostanzialmente contravvenzionale e basata su una vecchia impostazione che riconosce massimamente le ragioni dell’economia tralasciando i costi ambientali, sanitari e sociali”.
Fino a quando i reati ambientali non vengono inseriti nel codice penale non sarà possibile avviare inchieste, colpire gli eco crimini e istituire la commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti.
E anche quando questo avverrà occorre essere vigili perché gli “ecocriminali si muovono con strategie sempre più sofisticate camuffate di legalità verso nuovi settori”.
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