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Rapporto ecomafia, l'area grigia dei funzionari pubblici

Mentre – lentamente – le due Camere del Parlamento discutono l’inserimento del delitto ambientale nel codice penale (proposta presentata oltre 1 anno fa ed ancora in attesa di approvazione da parte del Senato), dal Rapporto Ecomafia 2014, presentato da Legambiente, si apprende che sono quasi 30.000 le infrazioni accertate nel 2013, più di 80 al giorno, con un fatturato annuo di 15 miliardi.
321 sono i clan coinvolti, spesso grazie all’aiuto – si legge nel comunicato di Legambiente – “di funzionari o dipendenti pubblici consenzienti o decisamente disonesti che hanno semplificato iter e processi autorizzativi in cambio di sostanziose mazzette”.
Non occorreva la denuncia puntuale di Legambiente per capire quanto sia necessario rivedere la legislazione sul fronte della corruzione “perché è proprio l’area grigia dei funzionari pubblici corrotti che arricchisce e rende ancor più potente l’ecomafia”.
Per un terzo i reati riguardano il settore agroalimentare, oltre il doppio rispetto al 2012.
Il 22% interessano la fauna: commercio illegale di specie protette, abigeato, bracconaggio, allevamenti illegali, pesca di frodo, maltrattamenti e combattimenti clandestini. 8.504 denunce (di cui 1.344 in Sicilia), 67 arresti, 2.620 sequestri.
Il 15% sono relativi ai rifiuti (con oltre 3 miliardi di euro di fatturato), il 14% al ciclo di cemento (1,7 miliardi di euro). Settori certamente più produttivi rispetto agli incendi e ai sequestri di persona che nel 2013 sono diminuiti.
E’ probabile che per gli incendi abbia funzionato da deterrente anche la creazione del catasto delle aree bruciate e il monitoraggio messo in campo da un numero crescente di amministrazioni.
Le regioni interessate non sono solo quelle con prevalente influenza mafiosa, sebbene in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia avvengono il 47% dei reati ambientali. L’attività non è limitata neanche dai confini nazionali, pur di fare affari a scapito dell’ambiente, della cittadinanza tutta e dell’economia legale.
“Ci troviamo quindi – si legge ancora – di fronte ad una imprenditoria ecocriminale, caratterizzata da un vivace dinamismo, a cui fa da contraltare l’immobilismo della politica nazionale: nel nostro paese vige ancora una legislazione a tutela dell’ambiente del tutto inadeguata, a carattere sostanzialmente contravvenzionale e basata su una vecchia impostazione che riconosce massimamente le ragioni dell’economia tralasciando i costi ambientali, sanitari e sociali”.
Fino a quando i reati ambientali non vengono inseriti nel codice penale non sarà possibile avviare inchieste, colpire gli eco crimini e istituire la commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti.
E anche quando questo avverrà occorre essere vigili perché gli “ecocriminali si muovono con strategie sempre più sofisticate camuffate di legalità verso nuovi settori”.
Numerose truffe hanno infatti interessato il mondo della Green Economy e delle energie rinnovabili ed ampia è la presenza malavitosa nella costruzione e gestione dei Centri commerciali e della grande distribuzione organizzata, settore che annovera Catania fra le città a maggiore densità di tale fenomeno.

Argo

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