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Una straordinaria avventura, Giarrizzo e il restauro dei Benedettini

La figura di Giuseppe Giarrizzo, storico di statura europea e per lunghi anni preside della Facoltà di lettere dell’università di Catania, è nota soprattutto per la sua attività di studioso.
Solo una cerchia più ristretta conosce l’impegno e la determinazione con cui, dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, ha portato avanti assieme all’architetto De Carlo e quasi completato il recupero e il riuso del complesso dei Benedettini, facendone la sede prestigiosa e da tutti ammirata della ‘sua’ Facoltà.
Antonino Leonardi, che con i due è stato il terzo protagonista dell’impresa, ha raccolto in un volume, Fonti di Pietra. Scritti di Giuseppe Giarrizzo sul monastero dei Benedettini di Catania, Editoriale Agorà, gli scritti con cui, in diverse occasioni, Giarrizzo ha raccontato e ragionato a voce alta su quella che lui stesso ha definito “la più straordinaria avventura, intellettuale e politica, della mia vita”.
Si tratta appunto di 13 brevi scritti, fra introduzioni e prefazioni a volumi altrui e articoli di giornale, nei quali Giarrizzo è ritornato sull’episodio, ogni volta osservandolo e raccontandolo da diversi punti di vista.
Centrale appare sempre il suo rapporto umano e intellettuale, prima ancora che tecnico, con Giancarlo De Carlo, il grande architetto che ha fortemente voluto alla direzione dell’opera.
“Il cuore della discussione -annota Leonardi nella sua introduzione- era il dialogo tra il tempo presente e la memoria, tra i resti pietrificati di un passato multiforme e un progetto contemporaneo che desse loro un futuro: (…) come inserire i segni del nostro tempo in un contesto pensato per altre funzioni, poi per secoli usato e abusato?”
In questi tre passaggi è sintetizzato il senso dell’impresa: progettare, senza snaturarlo,  il recupero di un monumentale manufatto, nato come ambiente (si fa per dire) religioso, espropriato nel 1866 dallo Stato italiano, riusato, maltrattato e saccheggiato per oltre un secolo (da scuole, caserme, privati, uffici e depositi comunali) e infine destinato a luogo di studi e insegnamento universitario.
Una scommessa non facile, non fosse altro che la mole imponente dell’oggetto e per la conseguente complessità di problemi storici, architettonici, tecnici e funzionali che il suo recupero poneva.
Si tratta di scritti che, pur nella loro brevità, offrono una inesauribile miniera di informazioni, aneddoti, spunti storiografici e problemi attinenti al restauro che, opportunamente, lo scritto finale di Francesco Mannino ci aiuta a decifrare e a ordinare.
Il primo filone riguarda la storia della presenza dei Benedettini nel territorio catanese che non attiene solo alla specificità dell’ordine religioso ma si amplia necessariamente alla dimensione economica, essendo il monastero divenuto nel tempo titolare di un grande patrimonio terriero, e a quella culturale, teologica e non.
Un secondo gruppo di suggestioni concerne la storia, ancora da scrivere in buona parte, degli “usi incoerenti” del Monastero, che spesso lo hanno maltrattato e saccheggiato, a partire dall’esproprio del 1866: caserma, scuole di vario ordine e indirizzo, palestre, uffici e depositi comunali, privati, Osservatorio astronomico, Biblioteca civica. Una sola cifra dà la dimensione di quanto è accaduto: nel corso dei lavori di ripristino sono state eliminate superfetazioni per circa 10.000 metri cubi.
Il terzo percorso da seguire è naturalmente il racconto del recupero del manufatto, a partire dalla sua donazione all’Università da parte del Comune di Catania nel 1977.
Sotto l’impulso dell’arch. De Carlo, autore del progetto guida, il recupero del Monastero fu condotto nel rifiuto della sua ‘museificazione’ e, in un rapporto dialettico tra passato e presente, tra antico e nuovo, con l’intento di rispondere alla triplice esigenza di restituire il complesso alla sua dignità originaria, trasformandolo nel contempo in sede universitaria funzionale che funzionasse da volano per il recupero del quartiere dell’Antico Corso, un pezzo importante del centro storico catanese, anch’esso in stato di prolungato abbandono.
Quest’ultimo elemento fa da ponte verso il quarto tema, la riflessione cioè sul rapporto fra il Monastero e la città nel suo complesso, aspetto questo che fa emergere i limiti, almeno allo stato attuale, di questa esperienza.
Al di là del recupero e della rifunzionalizzazione del Monastero, non sembra che questo dialogo abbia dato i frutti sperati. Rispetto al quartiere esso è rimasto sostanzialmente isolato e, anzi, sembra averne aggravato i problemi, soprattutto riguardo la situazione edilizia, il costo degli affitti e, soprattutto, il traffico e la viabilità.
Rispetto alla città è mancata o è stata del tutto insufficiente la presenza di un interlocutore, l’Amministrazione comunale in specie, capace di cogliere e rilanciare la ‘provocazione’ del recupero dei Benedettini nei riguardi dei problemi più generali della rivalorizzazione dei quartieri del Centro storico.
Un’altra storia, ancora tutta da scrivere, per la quale però si attende ancora chi avrà il coraggio di impugnare la penna.

Argo

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