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I pupi dei Napoli raccontano il 'mondo offeso' di Vittorini

Quattro generazioni che hanno ancora voglia di crescere e percorrere nuove, e ambiziose, strade. Sono quelle della famiglia Napoli, l’unica sopravvissuta -a Catania- alla crisi che negli anni cinquanta fece chiudere, ad uno ad uno, i teatri dei pupi presenti in ogni quartiere. Nessuno stupore, quindi, nel vederla recitare nel teatro ‘occupato’ della Città, il Coppola.
Alzi la mano, però, chi ha mai pensato di poter assistere a “un’esibizione di pupi” che mette in scena Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini. Non solo pupi con la faccia di Silvestro, del Gran Lombardo, di Ezechiele, ma, contemporaneamente, tra gli spettatori (spettatori ‘commentanti’) Orlando, Rinaldo e Gano, nei loro scintillanti e tradizionali costumi. Come se, in qualche misura, “astratti furori e sofferenze per i mali del mondo” fossero condivisi anche dai nostri paladini.
Una voce fuori campo che, di volta in volta, senza mai rinunciare al tradizionale scontro fra paladini, sottolinea analogie e comune sentire, che si schiera, che tifa. Una voce per ricordare che esistono valori per i quali vale la pena battersi, che conferiscono senso alla stessa esistenza.
Non a caso, prima dell’inizio dello spettacolo, un giovane esponente del Coppola ha ricordato la tragedia di Lampedusa in modo asciutto, senza alcuna retorica. Non lacrime formali, ma una lucida, sentita denuncia perché la parola clandestino venga bandita dal nostro orizzonte, più che dal nostro vocabolario.
In qualche modo, anche gli occupanti del Coppola si sentono “clandestini” nella loro ricerca artistica, orgogliosi di proporsi come voce fuori dal coro in questa città. E le loro parole si legano in un controcanto suggestivo a quelle di Silvestro che, nel suo viaggio di ritorno a casa, in Sicilia, si rende conto di vivere in un “mondo offeso“, oggi come allora, al tempo della Guerra di Spagna, prova di forza dei fascismi europei.
L’opera di Vittorini procede “per quadri”, ritmo che viene bene scandito dal continuo cambio di scene che caratterizza il teatro dei pupi. La stessa scelta di dare uno spazio privilegiato, ovvero di dare visibilità alle voci non è solo un omaggio alla modernità, o alla indubbia bravura dei ‘narratori’, quanto un modo per sottolineare e ‘rivendicare’ l’avvenuta contaminazione, la fusione fra due mondi (quello dei pupi e l’“alta” letteratura), teoricamente impossibilitati a dialogare fra loro.
Un tentativo, una ricerca quella della famiglia Napoli (definirli “fratelli” è decisamente riduttivo) interessante e intrigante. Argo ha già raccontato l’esperienza della scorsa estate, quando i pupi dei Napoli recitarono insieme agli attori, e meglio degli attori, nel Riccardo III di Shakespeare,
Si tratta certo di spettacoli che vanno ulteriormente migliorati in una sorta di work in progress, evitando – ad esempio – di forzare eccessivamente la mano nella determinazione di analogie e punti di contatto fra pupi e personaggi e forse “asciugando” alcune scene, per fare meglio emergere la sofferta dignità dei personaggi positivi e onesti di una Sicilia che, per Vittorini, è il mondo.

Argo

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