Categories: Immigrazione

Oggi come ieri la strage dei migranti


Lo sai? (di Abubaker e Hassan, 2009)

Quanti perdono la vita nel viaggio verso la speranza?
Quanti perdono la vita per sete nel Sahara?
Quanti perdono la vita per un secondo di terremoto?
Quanti perdono la vita per il viaggio della vita?
Quanti perdono la vita tra le due sponde immaginarie?
Quanti perdono la vita per un sogno irraggiungibile?
Quanti perdono la vita per una realtà che non è la tua
e che, quando sei dentro, è troppo tardi per andare via?
Quanti perdono la vita nell’indifferenza ?
Quanti perdono la vita e nessuno lo sa?
Quanti perdono la vita e nessuno si ricorda?
Con questi versi Abubaker e Hassan hanno voluto ricordare, il 16 aprile del 2009, i morti in mare, le stragi quotidiane nel Mediterraneo, gli uomini e le donne che hanno trovato la morte nel tentativo di migliorare la propria vita. Sono somali, hanno poco più di vent’anni, sono nati entrambi durante la guerra civile e, sin dalla nascita, hanno visto massacri e sperimentato dolore e disperazione.
Quando hanno composto questa poesia erano già in Italia e avevano ricevuto il permesso di soggiorno per motivi umantari insieme ad altri giovani afghani, curdi, congolesi, sudanesi, etiopi, eritrei, con cui frequentavano le lezioni di italiano di un’associazione che gestiva centri interculturali per immigrati a Roma. Avevano anche proposto ai loro insegnanti di scegliere il 16 aprile come “giornata della memoria” per i morti in mare. Non potevano immaginare che il mare di Lampedusa ne avrebbe inghiottiti ieri mattina ben trecento.
Forse anche noi, con i nostri preconcetti e le nostre diffidenze, con le nostre leggi che hanno condannato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina uomini di mare che avevano soccorso migranti in pericolo, con la nostra tendenza ad autoassolverci, sempre e comunque, possiamo specchiarci nelle parole di un poeta, Charles Baudelaire, che nell’ottocento scriveva:
Son testardi i peccati, deboli i pentimenti;
vendiamo a caro prezzo le nostre confessioni,
e torniamo a pestare allegri il fango
come se un vile pianto ci avesse ripuliti.

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Argo

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