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Droni, i killer della porta accanto

Predator un nome che non preannuncia niente di buono. Sono i famosi droni, aerei senza pilota, che da alcuni anni sono stabilmente presenti nella base di Sigonella, da dove, ad esempio, partivano durante la guerra in Libia. Inoltre, come scrive Antonio Mazzeo , accanto “agli aerei killer Sigonella è anche la sede degli aerei Global Hawk, molto più grandi dei Droni Predator, funzionano da aerei spia, anch’essi senza pilota, ma funzionano da aerei guida degli attacchi aerei e dei bombardamenti negli scenari mondiali”.
Il consistente traffico aereo determinato dalla presenza dei droni, che in partenza, in volo e durante l’atterraggio sono particolarmente pericolosi, comporta significative limitazioni al traffico civile, che, finora, hanno creato pericoli e disagi agli aeroporti di Catania- Fontanarossa e Trapani – Birgi.
Anche ciò che sta accadendo a Niscemi (MUOS), con i comprovati rischi per la salute della popolazione e per il traffico civile dello stesso aeroporto catanese e di quello di Comiso, non è nient’altro se non l’ennesimo tassello di un ingranaggio strategico-militare che punta al controllo globale, attraverso l’estensione ulteriore di sistemi di spionaggio e di morte, in nome di una presunta lotta al ‘terrorismo’ e dell’esportazione della democrazia che, sino ad oggi, non solo non ha avuto successo, ma ha ulteriormente innalzato barriere e staccati contribuendo a rendere meno sicuro, da tutti i punti di vista, il pianeta.
Conferma un tale quadro disarmante, scusate l’involontaria ironia, il fatto che Sigonella è stata scelta come sede dell’AGS, Alliance Ground Surveillance, il sistema di sorveglianza terrestre globale che è il nuovo progetto NATO dove sono stati investiti miliardi e miliardi di euro.
L’attività dei droni, guidati da militari che si trovano in località diverse da quelle in cui avvengono le azioni militari, si svolge in un contesto di assoluta mancanza di verifiche, i cui effetti ulteriormente negativi sono cinicamente messi in conto. Stiamo parlando dei cosiddetti ‘danni collaterali’, ossia civili che muoiono solo per essersi trovati nel posto sbagliato, nel momento sbagliato.
Purtroppo, sempre più, nonostante la censura militare, vengono alla luce tragici episodi.
Anche perché, come scrive l’ Huffington Post, riferendosi a un episodio del 2011, quando venne colpito un deposito di auto in una regione di confine del Pakistan provocando la morte di 42 persone, la logica che muovee i vertici miltari è quella del “signature strike” (un attacco all’impronta).
Questo tipo di attacco si verifica quando la Cia o i militari decidono di colpire non in base all’identità dei bersagli, ma in base al fatto che i bersagli mostrano schemi comportamentali sospetti, i quali vengono recepiti come “impronte” di terroristi (guarda il video)

Il New York Times ha citato un autorevole funzionario del Dipartimento di Stato, secondo il quale la Cia, quando vede “tre ragazzi che saltellano“, pensa che sia un campo di addestramento per terroristi.
Quel giorno a Datta Khel, il comportamento-impronta era un raduno, o “jirga”, ovvero un’assemblea di anziani tribali che si riuniscono per dirimere una controversia locale. In questo caso bisognava risolvere un conflitto su una miniera di cromite.
E in effetti gli anziani avevano informato l’esercito pakistano del raduno con dieci giorni di anticipo. “Perciò era un evento aperto, pubblico, di cui praticamente tutti nella comunità e nei dintorni erano a conoscenza”.
Praticamente tutti nella comunità e nei dintorni. Ma non i servizi d’intelligence statunitensi. Né il capo della Cia. Né il presidente. Né il tizio in Virginia o in Nevada o in qualche altra località segreta che ha premuto il pulsante di comando del drone”. Se il territorio siciliano deve essere devastato per contribuire a tali tragici eventi…

Argo

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