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Mafia 'camaleonte', dai giardini alla droga

“La mafia non esiste”, “L’onorata società del primo ‘900 era buona e rispettosa”: sono frasi ormai entrate nella letteratura del fenomeno mafioso, sebbene non abbiano mai trovato riscontro nella realtà. Ce lo testimonia un giovane laureato in storia contemporanea, Vittorio Coco, dottorato a Catania, docenza a contratto a Palermo, borsa di studio presso il centro ”Pio La Torre”.
Autore di svariati articoli sulla mafia, Coco ha raccolto nel libro “La mafia dei giardini” il frutto di ricerche, effettuate anche attraverso documenti a lungo secretati, sulle centenarie vicende di gruppi mafiosi, che hanno iniziato la loro attività nella “Piana dei Colli”, un territorio a Nord-Ovest di Palermo tra Monte Pellegrino e Monte Castellaccio.
Il libro, edito da Laterza, è stato recentemente presentato alla Feltrinelli di Catania, presente l’autore, da Giuseppe Strazzulla, coordinatore provinciale di “Libera” e da Rosario Mangiameli, docente di storia contemporanea alla facoltà di Scienze politiche di Catania.
La piana dei Colli, a fine ‘800, era soprattutto una distesa di agrumeti, divenuti centrali per l’economia di Palermo, ma anche per l’attività mafiosa, che cercava di sfruttare quei latifondi.
Lo sostiene Giuseppe Strazzulla, che sottolinea come, più di un secolo fa, ci fosse già una compromissione tra mafia e pezzi di Stato e che, nel periodo fascista, quando sembrava che i mafiosi fossero stati sconfitti, si facevano solo arresti di massa per operazioni minori, mentre i veri boss restavano impuniti, quasi protetti.
Mangiameli ha ribadito come il libro di Coco si distingua da altri sullo stesso tema per la sua rigorosa documentazione scientifica e come, invece, solo 30 anni fa, al sociologo Raimondo Catanzaro fu rifiutata la pubblicazione di notizie relative all’analisi della mafia sul territorio.
Eppure già nei primi anni del secolo scorso è lì che agiva il controllo mafioso: dall’agricoltura al mercato dell’acqua. Quando, dopo la stasi del periodo fascista, molti mafiosi, mandati al “confino” si riorganizzarono, agirono proprio su quei territori dove avevano iniziato le loro attività criminali.
Nel 1942 molti boss ricevettero onorificenze e ci si accorse già allora che pezzi dello Stato facevano il doppio gioco. Il giornale palermitano “L’Ora” che fece dure battaglie di denuncia, ricevette diversi attentati.
Il controllo mafioso intanto passava al mercato del grano e poi alla speculazione edilizia: la valle dei Colli venne distrutta e cementificata, mentre le cosche locali furono assorbite dai Corleonesi.
Quando, nel 1948 venne fatta la proposta di una commissione antimafia, De Gasperi voleva che fosse affidata alla regione Sicilia, mentre Scelba continuava a dire che la mafia non esisteva.
Nel suo intervento, Vittorio Coco ha ribadito che il percorso mafioso si adatta sempre ai nuovi caratteri della società, per cui, dopo il periodo del “sacco di Palermo”, l’attività mafiosa si spostò sul narcotraffico e, quando la Sicilia divenne “regione speciale”, le cosche mafiose riuscirono a trovare nuovi modi per infiltrarsi nella politica e nella società.
Durante il dibattito, Rosario Mangiameli, ha stupito molti sostenendo con forza che non ci fu alcun aiuto di boss mafiosi nell’entrata in Sicilia degli Alleati, nel 1943, e nessuno prelevò Lucky Luciano dagli USA. La voce fu messa in giro da noti dirigenti fascisti, poi passati al comunismo, per gettare discredito sugli Stati Uniti.

Argo

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  • L'ARTICOLO DI CATANZARO NON FU RIFIUTATO, CI FURONO DIFFICOLTA' A FARLO ACCETTARE, INSIEME A UNO MIO E A UNO DI SALVATORE LUPO. ERANO STATI INVIATI INSIEME.SI PENSAVA CHE LA MAFIA FOSSE UN PROBLEMA LOCALE, ERA IL 1984.
    PER QUANTO RIGUARDA LA QUESTIONE DELLA MAFIA E DEGLI ALLEATI,OVVERO DELLA MIA AFFERMAZIONE CHE LO SBARCO ALLEATO SIA AVVENUTO SENZA L'AIUTO DELLA MAFIA, NON C'E' DA STUPIRSI, BASTA LEGGERE I LIBRI DI STORIA AVENDO CURA DI DISTINGUERE QUELLI CHE SONO FRUTTO DI RICERCA SERIA E DOCUMENTATA DA QUELLI CHE SONO FRUTTO DI INVENZIONE E DI CHIACCHERICCIO, BUONA GIORNATA.

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