Si sono quindi attivati in prima persona, hanno fatto ricerche e adesso “sanno” quando e come i loro figli sono partiti, con quali imbarcazioni, da quali numeri di telefono hanno telefonato durante il viaggio, l’ora delle telefonate e il nome della compagnia telefonica, e altro ancora.
“Questo è il nostro sapere” scrivono in un appello indirizzato all’Unione Europea. “Ma sappiamo anche che quel tratto di mare è continuamente osservato dagli innumerevoli mezzi tecnologici che l’Unione europea con i suoi stati membri e la sua agenzia Frontex dispiega tra le due sponde del Mediterraneo per il controllo delle migrazioni. Radar, satelliti, motovedette, aerei, elicotteri, e, dopo l’arrivo, impronte digitali. Sappiamo che tutte queste informazioni vengono archiviate. Sappiamo che oltre ai mezzi dell’Unione europea ci sono anche quelli della Nato.”
Ecco perchè chiedono alla UE che venga istituita una commissione che metta a disposizione i “suoi saperi”. Chiedono che di questa commissione facciano parte non solo il governo italiano e tunisino, ma anche tecnici impegnati nelle politiche di controllo delle migrazioni e, soprattutto, insieme ai loro avvocati, i rappresentanti delle famiglie, che dovranno avere il visto per partecipare alle riunioni della commissione.
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Fino ad ora, infatti -denunciano- solo 6 di loro hanno ottenuto il visto per l’Italia per poter approfondire le loro ricerche. E gli altri? Forse che “per le politiche europee, il nostro affetto e il nostro dolore non hanno lo stesso valore degli affetti che, in un caso simile, verrebbero riconosciuti ai familiari di giovani europei”?
L’appello si chiude con alcune domande precise.
“Vogliamo sapere e chiediamo:
E infine una richiesta di sostegno: “Chiediamo a tutte/i coloro che ci hanno appoggiato e a tutte/i coloro che vogliono farlo di impegnarsi a sostenere la nostra richiesta.”
All’appello seguono i nomi di 151 “dispersi”. E si tratta solo dei giovani partiti dalla Tunisia subito prima o dopo la rivoluzione tunisina.
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