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Il dissesto, le Municipalità e i dilemmi di Stancanelli

Sapete quanto ci è costato finora segnalare le buche nelle strade, le lampade dell’illuminazione pubblica spente, i tombini mancanti o la presenza di qualche ramo pericolante?
La bellezza di 1.993.000 euro nel 2011 e, nei soli primi sei mesi del 2012, 1.525.000 euro (tra indennità, gettoni di presenza, personale, fitti; per non parlare delle migliaia di ore lavorative perse dagli eletti).
Con la riforma delle Municipalità , appena approvata dal Consiglio comunale, spenderemo al massimo 580.000 euro. Praticamente un regalo!
Malgrado le altisonanti parole del primo articolo del nuovo Regolamento -gestione democratica e partecipata della città, ottemperanza al principio di sussidiarietà, autonomia, partecipazione, consultazione- la necessità di risparmiare a più non posso è l’unico vero motivo che ha spinto al cambiamento per evitare il rischio, sempre più concreto, che il Comune debba dichiarare formalmente il proprio dissesto finanziario.
Perché finalmente è ufficiale: dopo quindici anni di scapagniniane e stancanelliane bugie, adesso che il decreto Monti ha costretto a togliere tutti i veli dei debiti inesigibili iscritti a bilancio come attività e ha costretto a considerarne parte anche i debiti fuori bilancio, il Comune -malgrado l’imbroglio dei finanziamenti a fondo perduto caldeggiati dal Cavaliere- è di nuovo sull’orlo del fallimento.
E praticamente ormai l’unico obiettivo per cui si lavora negli uffici comunali è quello di evitare di dover portare in Tribunale i libri contabili (figuriamoci se possono pensare alla manutenzione dei tombini dell’acqua piovana).
La riforma delle Municipalità -“una rivoluzione”, come sobriamente la definisce l’assessore al Decentramento Angelo Moschetto- le porterà da 10 a 6, dimezzerà il numero dei consiglieri (da 150 a 72), ma continuerà a lasciarle perfettamente inutili, dato che i loro compiti si limitano a promuovere l’informazione e la partecipazione dei cittadini; indagini, verifiche e dibattiti sui problemi della comunità locale; a verifica l’efficacia delle attività e dei servizi comunali di interesse della Municipalità; a esercitare funzioni consultive nei confronti degli organi del Comune.
Per il resto le sedi delle Municipalità funzionano da semplici uffici decentrati dell’Amministrazione comunale con competenze su: servizi demografici; servizi sociali e di assistenza sociale; servizi scolastici ed educativi; attività e servizi culturali, sportivi e ricreativi; polizia urbana; mercati rionali e commercio in sede fissa; ambiente e verde pubblico; ecologia e nettezza urbana; manutenzione di beni demaniali di interesse zonale; manutenzione di strade e piazze.
Ma, per svolgere tutte queste funzioni, la presenza di questa pletorica assemblea rappresentativa è del tutto pleonastica, non avendo alcuna responsabilità gestionale ma solo funzioni di indirizzo, programmazione, promozione, verifica e controllo. Senza dire che, per aver diritto ai gettoni di presenza non è necessario che i consiglieri siano presenti per tutto il tempo delle sedute, perché ciò che fa testo è solo la firma sul foglio di presenza.
Quando va bene, dunque, queste istituzioni hanno solo funzioni clientelari e di collettori di voti.
Naturalmente questa riforma non sarà l’unico regalo per i catanesi, perché con il “Piano di riequilibrio finanziario” del Comune, come metaforicamente si chiama, saranno portate al massimo delle aliquote tutte le tasse comunali (IMU su tutte le prime case compresa), con il condimento di qualche piccolo taglio alle spese, la lotta all’evasione e altri blabla del genere.
Il povero Stancanelli si trova quindi di fronte ad un dilemma che nemmeno Amleto: se dovesse vincere il suo Principale, con l’immediata attuazione della promessa di abolire l’IMU sulla prima casa, questo Piano di riequilibrio perderebbe uno dei pilastri fondamentali e tornerebbe ad essere squilibrato.
Purtroppo però tutto ciò sarà una pesantissima ipoteca sull’operato dell’Amministrazione che verrà.

Argo

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