Decine di migliaia di docenti e studenti hanno invaso le vie cittadine manifestando in difesa della scuola pubblica e del diritto allo studio, come recitava lo striscione di apertura, portato insieme da docenti aderenti a Cobas e CGIL scuola, i due sindacati che hanno mantenuto in vita la mobilitazione.
I lavoratori della scuola continuano, infatti, a essere senza contratto, cala il potere di acquisto degli stipendi, cresce il precariato, servono risorse, non tagli e va rifiutato ogni tentativo (per ultimo quello del disegno di legge Aprea-Ghizzoni) di trasformare le scuole in aziende.
Le mobilitazioni, in effetti, hanno pagato: niente 24 ore di cattedra, blocco in Senato della Ghizzoni – Aprea, parziali vittorie che hanno rappresentato un ulteriore stimolo per proseguire nella lotta e nella riflessione sulla centralità della scuola
Anche tra i professori, accanto agli sforzi per coordinare la prosecuzione delle lotte, si sta sviluppando una riflessione più generale.
Tra i tanti stimoli, proponiamo una sintesi della “Lettera aperta alle colleghe e ai colleghi” scritta da Salvatore Distefano, docente del Liceo Cutelli di Catania.
Cari colleghi,
dato che in questo momento la scuola italiana è sottoposta ad un attacco senza precedenti, per certi versi più feroce della stessa contro-riforma Gelmini, è giusto aprire una franca discussione affinché l’impegno profuso da ognuno di noi si indirizzi verso obiettivi forieri di miglioramento e crescita.
Da almeno 15 anni è in corso in Europa un processo di de-strutturazione del sistema scolastico che ha come primo obiettivo quello di svuotare e impoverire le discipline, il loro statuto epistemologico, la loro valenza formativa, il loro significato educativo e sociale.
Basta leggere i documenti pubblicati dalle varie Commissioni europee rivolti ad un unico scopo: far finire l’epoca della scuola di massa e per tutti; della scuola fondata sul principio del “sapere disinteressato e a vantaggio dell’uomo”; della scuola che, ha garantito quella mobilità che molto spesso la divisione del lavoro e le appartenenze sociali impediscono.
Alle discipline strutturate secondo un profilo storico, con uno statuto epistemologico e un monte ore ben articolato si è tentato di far subentrare un’altra idea di scuola: la scuola come luogo dove si svolgono molteplici attività, che possono certo interessare i giovani, basate però su tutto ciò che la società “produce”.
Coerentemente con il fatto che da almeno 30 anni la nozione stessa di realtà è stata spiegata secondo un’accezione “anti-realistica”, che ha teso a negarne gli stessi fondamenti, quasi a “smaterializzarla”. Allora tutto è reale e niente è reale; è tutto sapere, ma niente è vero sapere; la docenza diventa uno dei momenti della mattinata scolastica, non il momento essenziale; il sapere non è più finalizzato a comprendere e a trasformare la realtà esistente.
Del resto, la crisi del sistema mondiale dell’economia ha evidenziato ancora di più la questione della funzione della scuola e del sapere. La domanda che molti si pongono sull’importanza e sull’utilità dello studio non ha solo nobili risvolti esistenziali, ma diventa anche il modo per far passare un messaggio, oramai non più subliminale, che la scuola e l’università non servono per il lavoro.
Non è chi non veda quanto sia classista questo argomento, che ha in realtà l’obiettivo di far abbandonare gli studi ai giovani provenienti dalle classi meno abbienti.
Peraltro, questa visione della scuola principalmente come luogo di aggregazione sociale, nel quale non sono più centrali le discipline, ha scatenato nel corso del tempo gli appetiti economici di svariati enti e associazioni che spesso poco hanno a che vedere con la cultura e la formazione.
Ora, dobbiamo ribadire, agli “smemorati” di turno che è proprio grazie alle discipline se la scuola ha resistito e resiste tutt’oggi.
È dunque da ciò che occorre ripartire se si vuole rilanciare la scuola democratica e di massa, nella quale sia possibile coniugare applicazione e gioia, rigore e creatività.
Ben venga allora la protesta, visto che si è in presenza di un passaggio decisivo per la sopravvivenza della scuola della Costituzione, che col suo impianto democratico e progressivo è stata la piattaforma storica delle conquiste più avanzate del popolo italiano, a partire dal secondo dopoguerra.
Nell’impianto organico della Costituzione vi sono gli elementi che sostengono l’impegno di quanti vogliono che la scuola continui a svolgere l’alto compito che i padri costituenti le hanno assegnato: non subordinare il sapere ad interessi economici particolaristici, ma ancorare la scuola alla promozione della cultura e della ricerca scientifica e tecnica.
Leggi il testo integrale della lettera aperta di Salvo Distefano
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