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La tragicommedia dei test di ammissione al TFA

E’ un’estate bollente per coloro che aspirano a fare gli insegnanti. I test per l’ammissione al TFA (Tirocinio formativo attivo), prima tappa di quella specie di gioco dell’oca, incrociato con un adrenalinico gioco del lotto, che è diventato il percorso per arrivare ad una cattedra si sono rivelati insormontabili per un altissimo numero di candidati e in molte classi di concorso.
Convocati per la prima tappa, rispondere cioè a 60 quesiti a risposta multipla, si sono visti scodellare davanti una serie di domande che nemmeno gli esperti più perfidi della buonanima di Mike Bongiorno sarebbero stati in grado di formulare.
Risultato: in molte classi di concorso un numero assolutamente sparuto, e comunque enormemente inferiore a quello dei posti messi a concorso, risultava meritevole di passare alla seconda tappa.
Ad esempio, nella classe A036, che abilita all’insegnamento di Filosofia, psicologia e scienze dell’educazione, dopo la prima correzione dei test erano solo il 3,48%; in alcune sedi (Cagliari, Univ. della Calabria, Cassino, Milano, LUMSA, Sassari, Trento e Urbino) addirittura nessuno, a Catania 2 su 270.
Qualcosa del genere è accaduto per molte delle classi di concorso delle materie umanistiche: nella classe A246 (Lingua francese) risultavano ammessi solo il 2,94% e il 6,27% nella A050 (Materie letterarie negli istituti di istruzione secondaria di II grado). Risultati più nella norma si segnalavano per le scientifiche, come Fisica o Matematica.
Franco Coniglione, ordinario di Storia della filosofia presso l’Università di Catania, con una serie di articoli pubblicati su Roars, un blog che discute i problemi del mondo della ricerca scientifica, si è preso la briga di cercare di capire cosa poteva essere successo, ed è arrivato alla conclusione che “la spiegazione non può che essere duplice: o si è voluto artatamente preparare i quesiti in modo da falcidiare quanto più possibile, così da evitare un eccessivo numero di abilitati che avrebbero fatto concorrenza a quelli già iscritti nelle varie graduatoria regionali; oppure – se questa risposta non la si ritiene verosimile – coloro che hanno concepito i testi sono degli incompetenti, che non hanno il polso della situazione e sconoscono quali siano i curricula che normalmente si seguono nelle università italiane su queste discipline.”
Subito però son cominciate a circolare voci che facevano pensare a qualcosa di ben più grave e, per molti aspetti, incredibile e sorprendente. Molti candidati esclusi infatti segnalavano non solo la natura esasperatamente nozionistica dei quesiti ma anche diversi errori nelle stesse risposte ministeriali e soprattutto formulazioni poco chiare quando non volutamente ambigue che avrebbero messo in difficoltà il più esperto degli esperti.
Di fronte all’evidenza del (mal)fatto il Ministero è stato costretto a correre ai ripari e se n’è uscito con un comunicato da cui risultava che una speciale Commissione stava ricorreggendo i test facendo risalire vertiginosamente verso l’alto le percentuali degli ammessi. Nella classe A036 a Catania, per esempio, gli ammessi sono passati dallo 0,74 al 10,74%. Ma il fenomeno è generalizzabile a quasi tutte le classi di concorso.
Cosa era accaduto? Con un procedimento tipicamente italiano, più che le risposte erano state riviste le domande e la loro formulazione, per cui – annota ancora Coniglione – “ora il numero di risposte da ritenere comunque corrette – e quindi di quesiti formulati in maniera errata o equivoca o incompleta da parte degli esperti del Ministero – è incredibilmente alto.”
Sembra inverosimile, ma “si va da 25 domande su 60, cioè il 41,67% di quesiti errati, a un minimo di 4, con una media superiore al 18%. Insomma non v’è una classe di concorso in cui gli esperti del Miur abbiano saputo formulare tutti i quesiti in modo corretto!”
Ma le sorprese non finiscono qui: “da un controllo a caso, infatti, abbiamo constatato come alcuni dei quesiti della classe A036 non fossero altro che il copia e incolla della corrispondente voce su Wikipedia.” Un esame più sistematico su tutti i test metterebbe probabilmente in luce casi analoghi.
Naturalmente il Ministero ha cercato di prendere le distanze da questi esperti, facendo sapere di aver ereditato dalla gestione Gelmini un team blindato. Ciò tuttavia non può bastare a giustificare la gravità dell’accaduto e, anche se il Ministro non ha voluto svelare i nomi dei cosiddetti esperti, vogliamo sperare che almeno li abbia licenziati in tronco.
Restano in ogni caso validi i dubbi e le obiezioni che si avanzano sulla validità scientifica e metodologica di questo tipo di test e sulla loro capacità di “misurare effettivamente la preparazione culturale e la competenza cognitiva, che non coincide affatto con la mera informazione che è per lo più presupposta per superare i quesiti
Ma l’analisi di Coniglione ha messo in evidenza un altro fattore preoccupante in quanto, pur con tutte le cautele e le precauzioni che vanno prese in questo caso e senza voler entrare nel merito della qualità scientifica delle università italiane, non c’è dubbio che si è trattato di “una sorta di screening nazionale” in cui tutti i laureati sono stati sottoposti ai medesimi quesiti.
E alla fine “resta il fatto che una analisi delle percentuali degli ammessi nelle varie classi di concorso per le diverse sedi universitarie mostra una notevole convergenza verso certi esiti, che assai difficilmente potrebbero essere ritenuti, nella loro generalità, un mero accidente statistico.”
Infatti “le sedi universitarie che hanno riportato le collocazioni peggiori sono per lo più quelle meridionali, cui seguono quelle del centro e quindi spiccano alcune università del Nord”. Fra i 42 atenei presi in considerazione, ad esempio, i risultati conseguiti dall’Università di Catania la pongono al trentanovesimo posto.
Questi risultati sembrano completare il quadro fornito da analoghe indagini condotte sugli studenti delle scuole medie superiori “mostrando come il ritardo nella preparazione disciplinare degli studenti della scuola delle regioni meridionali prosegua anche nelle università: queste ultime non sembrano essere in grado di colmare il ritardo già accumulato dagli studenti in entrata, provenienti dalle scuole superiori”.
Si tratta solo di una debolezza dell’azione didattica delle università o è l’ennesimo, gravissimo sintomo della crisi non solo economica ma anche culturale del Meridione?

Argo

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