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Carafest, una festa per chi?

Castiglione ci ha preso gusto. Dopo lakermesse organizzata per la festa del rifugiato, adesso ci riprova con il “Carafest: incontro di popoli nel Mediterraneo”, una due giorni autocelebrativa (il 15 e il 16 luglio) con spettacoli, sfilate e dibattiti, a cui parteciperanno docenti universitari, autorità ecclesiastiche, il presidente della Comunità islamica di Sicilia e perfino, in chiusura, la ministra Cancellieri.
Il presidente della Provincia di Catania, nominato soggetto attuatore dall’ex ministro Maroni, ha tenuto anche una conferenza stampa per presentare l’iniziativa e per ribadire che il Cara di Mineo è un’esperienza d’avanguardia, pienamente riuscita e modello per l’Europa. Perchè questa necessità di tornare più volte, in modo ravvicinato, sulla “promozione” del Cara? Per coprire con una patina dorata e luccicante le tante voci che ormai denunciano quello che non va? O per il timore che il governo possa essere anche solo sfiorato dal pensiero di chiudere questa struttura che, con i soldi che ci girano attorno, ha permesso a molti di fare affari e ad altri di accrescere il potere clientelare?
I fatti, però, parlano chiaro e sono gravi, dentro e fuori dall’ex-Villaggio degli aranci. Innanzi tutto è paradossale parlare di integrazione a proposito di persone che vivono in una struttura isolata, lontana dai centri abitati, con difficoltà pratiche di spostamento. La maggior parte di loro non lavora, attende il verdetto della commissione che lentamente esamina le richieste di asilo. Oppure attende il giudizio del tribunale sul ricorso al diniego. Con chi e come si saranno integrate?
I volontari delle associazioni che si occupano di migranti non vengono fatti entrare, entrano solo gli avvocati che sono stati nominati dagli ospiti per patrocinare le loro cause in tribunale, e sono stati di recente invitati a portare con sé anche i mediatori culturali di cui il Centro è carente.
E tra queste persone che si abbrutiscono in una attesa inoperosa, circolano droghe, si commettono truffe a danno di altri stranieri, si mercificano i corpi, tanto che un giornale notoriamente “comunista” (!) come l’Avvenire ha denunciato abusi, violenze, prostituzione e aborti. Quelli che hanno trovato un lavoro sono pochissimi e se qualcuno, che potrebbe andar via, rimane come ospite, è solo perchè la situazione fuori dal centro non è migliore.
Lo testimoniano i volontari del Centro Astalli, le cui strutture sono stracolme di persone disperate che cercano lavoro, consiglio o cure, che i medici degli ambulatori del Centro non sempre riescono a fornire per mancanza dei farmaci necessari. Lo testimoniano gli episodi di rimpatrio forzato di migranti che avrebbero avuto diritto di chiedere asilo politico, come i cristiani copti egiziani recentemente sbarcati a Catania e prontamente rispediti indietro. Lo testimoniano i grandi e piccoli episodi di sopraffazione subiti nelle nostre strade dagli ambulanti stranieri. Lo testimonia lo sfruttamento operato nelle campagne e nelle serre. E potremmo continuare.

Dove sta allora l’integrazione? Dove il successo di un modello di “accoglienza”? Dove il dialogo tra culture diverse? In che senso, come ha detto Castiglione, “i migranti sono diventati una risorsa per la società italiana”? Forse perchè attorno a loro è fiorito un business che arricchisce gli italiani e di cui pochissimi stranieri approfittano?
Se l’integrazione è avvenuta, se l’esperienza del Cara è un successo, perchè non approfittare della festa per aprire le porte del Villaggio, svolgendo al suo interno le iniziative previste e accogliendo il pubblico? I laboratori in cui sono stati preparati gli spettacoli, i concerti, la sfilata (ai quali plaudiamo perchè pensiamo che abbiano potuto offrire occasioni di integrazione al limitato numero di migranti che ha attivamente partecipato alla loro realizzazione) avrebbero forse potuto avere una ricaduta più ampia su tutti gli ospiti del Cara.
Bene ha fatto il Centro Astalli a rifiutarsi di partecipare ad una manifestazione di unanimismo ipocrita, annunciata peraltro nello stesso giorno in cui si apprendeva che 54 migranti erano morti di sete su un gommone al largo della Tunisia, in un tratto di mare frequentato da troppe navi per ipotizzare che nessuno avesse visto, come ha dichiarato Giovanni La Manna
Sulla manifestazione si è espressa, con un Comunicato Stampa, la Rete Antirazzista Catanese

Argo

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