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La Repubblica italiana è (ancora) fondata sul lavoro?

La ricorrenza della Festa della Repubblica ripropone ogni anno la questione (e le polemiche) se sia opportuno festeggiarla con la tradizionale parata militare ai Fori imperiali di Roma.
Quest’anno poi è arrivata a ridosso dei drammatici eventi connessi al terremoto in Emilia, per cui da più parti si è rinnovata la richiesta di convogliare le somme destinare a questa manifestazione per dare aiuto alle popolazioni colpite dal tragico evento.
Il Presidente Napolitano ha più volte ribadito che, pur essendo opportuno un ridimensionamento della manifestazione, nella sobrietà, riteneva importante non annullarla anche come modo per ribadire l’unità del Paese di fronte a simili avvenimenti e come segno di speranza per un pronto riscatto non solo delle popolazioni emiliane ma di tutta la comunità nazionale di fronte alle più generali difficoltà che stiamo attraversando.
E’ stato inoltre detto che ormai era troppo tardi e che le somme stanziate erano state in buona parte già impegnate, e probabilmente è anche vero. Il problema, tuttavia, non ci sembra questo.
Ciò che va ricordato, a nostro modo di vedere, è che l’articolo 1 della nostra Costituzione proclama che il diritto al lavoro è il principio fondamentale su cui si fonda la nostra idea di cittadinanza.
Eppure, proprio nei giorni che hanno preceduto il 2 giugno, le statistiche sia europee che nazionali hanno continuato a suonare le campane a morto sulla crescita galoppante della disoccupazione in generale, e di quella giovanile e femminile in particolare.
Negli stessi giorni veniva approvata in prima battuta la riforma del mercato del lavoro che, per un paradosso la cui logica a molti sfugge, per prima cosa abbassa le garanzie sull’occupazione e rende più facili i licenziamenti. Eppure il governo sostiene che ciò faciliterà la crescita dell’occupazione.
Per questo ci sembra opportuno dare voce a due comunicati che sono stati diffusi per questa ricorrenza.

  • La Tavola della pace promuove una petizione dal titolo “Lavoro, non bombe”, che vi invitiamo a firmare. In essa si sottolinea la necessità di “tagliare le spese militari per liberare risorse, investire sui giovani, sul lavoro e lo stato sociale”
  • Le donne dell’UDI affermano, invece, “Se la guardiamo come donne, l’Italia è una repubblica incompiutamente democratica: infatti noi sappiamo che oggi è molto difficile esigere il lavoro come diritto, e non solo a causa della crisi.”

E ancora: “Da sempre le possibilità lavorative delle donne sono state notevolmente inferiori a quelle degli uomini. Oggi in numero minore sono le occupate, in numero maggiore le disoccupate e si ingrossano continuamente le fila delle inattive. Le donne più giovani sono maggiormente vittime di una precarietà che si protrae nel tempo condizionando la facoltà di scegliere liberamente e consapevolmente la loro vita. Le donne di ogni età sono oberate anche a causa della mancanza di servizi e sostegni adeguati, a cui devono supplire occupandosi di bambini, anziani, disabili e malati.”
Senza nulla togliere alle popolazioni terremotate, ci sembra questo il motivo più pertinente per mettere in discussione una manifestazione che, oltre tutto costa svariati milioni: esiste la possibilità di ricordare l’inizio della nostra storia repubblicana e i valori ideali su cui è stata costruita in modo più adeguato e, possibilmente meno retorico e costoso?

Argo

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