UDI Catania, femminicidio a Enna

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COMUNICATO STAMPA

 
 
Vanessa voleva uscire, forse andarsene da quella casa e tornare dai suoi.
Allora il suo convivente ha strappato un cavo del video e l’ha strangolata. Non è morta. Allora l’ha soffocata con un fazzoletto imbevuto di candeggina. Poi, cosa fare con quel corpo? L’ha buttato in macchina, avvolto in un lenzuolo e l’ha scaraventato giù dal cavalcavia dell’autostrada.
Stavolta è toccato a Vanessa Scialfa, 20 anni, di Enna, operosa e civilissima città della Sicilia interna. Mentre anche noi la nominiamo, molti  stanno piangendo per lei. Molti guardano sui giornali i suoi grandi giovani occhi.
Ma sarà inutile piangere, il dramma si ripeterà, perché non basta denunciare la profondità dell’offesa alla dignità e al diritto alla vita del nostro genere, non basta individuare le sedimentazioni patriarcali del mondo maschile e le ambivalenze persino delle donne: non c’è alibi alla sottomissione culturale,  allo stato di immobilità, non c’è alibi per le affermazioni puramente ideologiche:  il femminicidio assume le dimensioni e l’orrore di cancro della nostra società e dei nostri tempi.
E allora è necessario vedere fino a che punto certe timide proteste maschili,  siano solo propaganda rivendicativa non rilevante, appena sovrapposta a una sedimentazione culturale che ha costruito la cultura dello stupro.
E allora bisogna non venir meno alla responsabilità politica del ribadire la PRIORITA’ del contrasto al femminicidio, con un’azione che prenda in considerazione tutti gli effetti del dominio maschile attuato attraverso le vie simboliche della comunicazione e della conoscenza, azioni che possano contrastare progressivamente le forme di violenza che attanagliano la vita, la libertà, la dignità del nostro genere.
L’UDI, nella sua complessa articolazione, deve proporre alle associazioni, alle singole, di avviare un processo comune in modo che si possa dar vita ad un patto di reciproca consultazione, scambio e azione comune, a partire  delle utilità che pattuiremo fra di noi a contrasto della violenza di genere, in ogni sua forma e declinazione.
Nessuna sottomissione politica, nessun attivismo marginale dell’UDI. In nome di ogni femminicidio avvenuto.
UDI Catania

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  1. Alcune considerazioni in pochi brevi paragrafi:
    1. Definizioni;
    2. Confronto tra emergenze;
    3. Informazione;
    4. Stupro antimaschile;
    5. Abuso di privilegi;
    6. Violenza – genesi;
    7. Violenza – responsabilità.
    8. Inaccettabilità ed inefficacia del riconoscimento della fattispecie
    1. Definizioni
    “Femminicidio” è un termine inventato dalle femministe per enfatizzare un fenomeno che, per entità, non è più grave o diffuso di altri. Barare sule priorità presentando dati gonfiati e manipolando l’informazione comporta dei costi. Nessuno lo farebbe se non ci fosse da guadagnarci. Il “cui prodest” lo vedremo in conclusione.
    “Stupro” se lo stupro è la maggior offesa alla dignità di una persona, allora, in ottica paritaria, dobbiamo identificare altre forme di stupro.
    L’ “abuso di privilegi” può determinare la distruzione della dignità di una persona al pari di uno stupro.
    2. Confronto tra emergenze
    Ogni anno si verificano UN CENTINAIO di “femminicidi”.
    Nello stesso periodo si verificano quasi 365 uccisioni di bambini da parte delle madri ( uno al giorno).
    Nello stesso periodo si verificano un centinaio di suicidi (omicidi/suicidi) di padri separati.
    3. Informazione
    La stampa segue delle mode.
    Della violenza sulle donne se ne parla continuamente.
    Della violenza sui bambini, sebbene sia quasi quattro volte più frequente, non se ne parla mai.
    Il dato, pur se raccapricciante, non può sorprendere.
    La violenza infatti si muove sempre nella stessa direzione. Da un soggetto che si percepisce o è percepito come più forte ad un altro che è percepito come più debole.
    Avremo quindi più casi di uomini su donne, donne su bambini e bambini su animali che viceversa.
    La differenza sostanziale tra “infanticidio” e “femminicidio” è che, di fatto, è la donna che sceglie il suo assassino mentre il bambino no.
    4. Stupri antimaschili, pregiudizi e misandria.
    Il fatto che la stampa taccia sugli infanticidi contribuisce alla sopravvivenza di pregiudizi che causano ancora disparità sessiste di trattamento giudiziario che fanno si che i figli di separati vivano con le madri in quasi il 95% dei casi. la quasi TOTALITA’.
    Chi è genitore sa perfettamente che vedersi strappare un figlio, di per se, basterebbe a strappare il cuore e a fare impazzire.
    Tuttavia il rapimento istituzionale dei figli comporta alcune “pene accessorie” meno gravi ma altrettanto devastanti:
    – l’esproprio della casa coniugale;
    – il pagamento ingiustificato di alimenti o mantenimento, sempre calcolati sulla media delle entrate invece che delle uscite;
    – l’andare a dormire in un box auto;
    – l’andare a mangiare alla mensa della caritas.
    Il tutto concorre alla distruzione della dignità di una persona tanto da rendere estremamente difficile la ricostruzione della propria vita.
    Spesso, tali disparità, si verificano persino a causa di accordi consensuali. Vediamo perchè:
    – avvocati frettolosi suggeriscono accordi consensuali secondo formule collaudate ma gravemente discriminatorie;
    – Minacce, vendette o ricatti attuati grazie a false accuse di violenza sulle donne o sui bambini suggerite dagli stessi avvocati di parte (la pallottola d’argento). Questo grazie all’ “inversione dell’onere della prova” in caso di presunta violenza. Un’accusa infamante e con nessun rischio per a calunniatrice. Risultano false l’80% delle accuse. Possiamo facilmente ipotizzare che vi sia un 10% di false accuse che non viene scoperto e che almeno un 5% dei patteggiamenti riguardi ammissioni di colpevolezza da parte di innocenti.
    5. Abuso di privilegi come causa di violenza
    L’ “abuso di privilegi” è atto di estrema violenza per il quale bisognerebbe aiutare gli uomini a PRENDERE COSCIENZA.
    Esso causa, paradossalmente, depressione e follia, quindi, parte di quegli omicidi/suicidi che colpiscono le stesse donne che li hanno esercitati.
    Si può pensare seriamente che un uomo, altrimenti sano e normale, uccida una ex moglie soltanto per il fatto che questa lo abbia lasciato? Non sarà piuttosto la perdita dei figli e della propria dignità a condurre alla follia? Chi non ucciderebbe per difendere il proprio figlio?
    Se e condizioni di vita dell’uomo separato sono comparabili, se non peggiori, di quelle del carcerato, allora è vero che lo stato incoraggia l’uxoricidio.
    I privilegi possono uccidere.
    Inoltre, sono causa dei tanti, troppi, suicidi maschili.
    Tralasciamo le patologie psicosomatiche quali gastriti, malattie cardiovascolari e via discorrendo che, pur se non uccidono, costituiscono un costo notevole per la collettività.
    La responsabilità morale femminile, nei casi sopra citati, è soltanto indiretta ma non è assente.
    I casi di violenza antimaschile e antifemminile sono equamente distribuiti, quindi l’emergenza è la stessa.
    L’unica sostanziale differenza è che
    la violenza maschile sulle donne è già PUNITA DALLA LEGGE mentre
    la violenza femminile sugli uomini è PREVISTA DALLA LEGGE.
    6. Violenza – genesi del fenomeno
    La volontà dell’essere umano è variabile dipendente da alcuni fattori esterni e biologici.
    Piaccia o no, l’umanità segue regole di comportamento innate, tuttavia, l’esigenza di vivere in società, comporta il rispetto di regole sociali che limitano gli impulsi del singolo.
    Tanto più rispettate sono queste regole, tanto più sviluppata sarà quella cultura. Nel contempo, tanto più forti saranno le limitazioni ai propri impulsi, istinti e capricci tanto maggiori saranno le tensioni che, a seconda del carattere del soggetto, introverso o estroverso, condurranno ad atteggiamenti aggressivi o depressivi.
    La violenza è fondamentalmente un segno di rabbia sfuggita al controllo. Evidenza di incapacità di esercitare controllo sulle proprie pulsioni a causa di un fatto ingiusto o visto come tale, anche in virtù di retaggi culturali, ancora vivi nella fase di transizione che stiamo attraversando.
    Alla rabbia possono concorrere più fattori, non necessariamente connessi (questa mattina ho perso il treno, sono più nervoso, il vicino mi dà più fastidio).
    L’incapacità di far valere le proprie ragioni è fonte di rabbia e nasce per lo più dall’ignoranza.
    Per esigenza di sintesi seguiamo un processo per logica inversa: la violenza è causata dalla rabbia, che è causata dall’ignoranza, che è causata da povertà.
    La povertà e lo scollamento sociale innescano a loro volta una spirale che porta alla supinità politica e quindi ad altra ingiustizia e allargamento della disparità sociale.
    Lo scollamento sociale che caratterizza i nostri tempi è la causa principale della violenza, compresa quella con vittime di sesso femminile.
    7. Violenza – cui prodest?
    A chi giova allora distrarre il popolo dal lavorare in direzione del conseguimento della condizione di parità sociale per spingerlo a spendere inutili risorse contro il mito della disparità sessuale?
    Naturalmente a chi detiene il potere e chi nella disparità sociale trova fonte di arricchimento.
    Ma c’è anche un fenomeno più meschino…
    I movimenti femministi e, soprattutto, i centri antiviolenza privati.
    Associazioni che agiscono più o meno scorrettamente che vivono di finanziamenti pubblici e che hanno tutto l’interesse ad alimentare miti, divulgando statistiche taroccate o volutamente realizzate al servizio dell’ideologia.
    Femministe: volontarie carnefici delle donne stesse.
    8. Inaccettabilità ed inefficacia del riconoscimento della fattispecie
    Le femministe vorrebbero che per i reati commessi nei confronti di una femmjna fosse prevista una pena superiore a quella prevista per uomini e bambini. Il che, in ottica paritaria, è assolutamente inaccettabile perché sottintenderebbe che la vita di una donna valga più di quella di un uomo o di un bambino.
    E’ noto, inoltre, che l’inasprimento delle pene si rivela assolutamente inefficace alla prevenzione dei reati. Il che appare drammaticamente evidente nei paesi che ancora prevedono la pena capitale. Non stupisce che, chi ha voluto introdurre un aberrazione giuridica come l’inversione dell’onere della prova non tenga in alcun modo in considerazione il pensiero di Cesare Beccaria.
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