Anche “Libero Amleto-Tinturìa ‘u to nomu è fimmina” è una di queste preziose eccezioni. E’ un Amleto particolare che parla in siciliano, anzi in ragusano, e sta dietro le sbarre, nell’angustia e nell’isolamento del carcere duro. Dal quale evade, però, vestendo i panni dei personaggi della tragedia, tutti i personaggi, maschili e femminili.
L’adattamento e l’affascinante riscrittura del testo di Shakespeare si devono alla penna di Saro Minardi, lo stesso matt-attore, modicano d’origine e catanese d’adozione, che, nei giorni scorsi l’ha messa ancora in scena al teatro Tezzano, in collaborazione con il Teatro degli specchi, per la regia di Carlo Ferreri e le scene e i costumi di Salvo Manciagli.
Come il principe danese, Minardi-Amleto, detenuto disperato, dipinge tutte le nuances di sentimenti e di emozioni, rabbia, voglia di vendetta, tenerezza, amore, sarcasmo, follia. Dà vita, espressione, voce e gesti, direi anima, ai personaggi. E senza orpelli scenografi ma solo con i gesti e la voce, li caratterizza e li rimodula, passando attraverso i registri del tragico e del grottesco: Ofelia cuce, la regina si pettina, il re si arrabbia, Polonio spia, Laerte, Orazio, Rosencrantz e Guildenstern…
I dialoghi sono così intensi e serrati da farci vedere in scena più personaggi insieme, chè Saro Minardi
E Shakespeare in siciliano ci fa venire in mente “Il manoscritto di Shakespeare“, il libro di Domenico Seminerio. Vi si
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