E’ morta lo scorso dicembre Ninetta Burgio ma, fosse stata viva, questa sentenza non le sarebbe piaciuta affatto. Sedici anni di detenzione e un’assoluzione per insufficienza di prove agli assassini di suo figlio, Pierantonio Sandri, scomparso a Niscemi, nel settembre del 1995, a soli 18 anni, per aver visto troppo.
Si è concluso con questa condanna, il 22 febbraio scorso, presso il Tribunale per i minorenni di Catania, il processo di primo grado. La notizia dell’assassinio si è avuta solo a 14 anni dall’omicidio, 14 anni di ricerche, di appelli, di richieste di aiuto di Ninetta per conoscere la verità. E si è avuta grazie alle rivelazioni di un collaboratore di giustizia, ex alunno di Ninetta, sopraffatto dai sensi di colpa.
Due gli imputati, all’epoca minorenni: l’attuale pentito, per il quale l’accusa aveva chiesto 16 anni di detenzione, e un suo complice, attualmente a piede libero, per il quale il pm aveva chiesto 20 anni. A causa della nuova legge dell’ultimo governo Berlusconi, in assenza di riscontri alla deposizione del collaboratore, l’unico condannato è rimasto il pentito, già in carcere per altre imputazioni. Se non si fosse autoaccusato, forse, non sarebbe mai stato sospettato dell’omicidio.
Vedendo in televisione gli appelli disperati di Ninetta, ha, però, confessato ogni dettaglio del brutale assassinio, compiuto con l’aiuto di altri compagni, tutti giovani affiliati a una famiglia mafiosa emergente di Niscemi agli inizi degli anni ’90. Decisero di uccidere Pierantonio, sospettando che il ragazzo avesse visto e riconosciuto uno di loro mentre dava fuoco a un’auto e temendo di essere denunciati.
Ninetta Burgio non ha mai voluto credere a facili ipotesi sulla scomparsa del figlio e ha sempre lottato con molto coraggio e determinazione per conoscere la verità, trasformando il suo dolore in impegno. Con al fianco Libera, l’Associazione antimafia di Don Ciotti, ha incontrato tanti giovani di varie scuole di tutt’Italia e soprattutto i minori detenuti in vari istituti di pena. E’ morta lo scorso dicembre Ninetta e non ha potuto assistere a questa fase finale del processo.
Hanno preso il suo posto il fratello e i membri del direttivo del Coordinamento di Libera di Catania, che hanno appreso con molta amarezza di questa sentenza parziale e l’hanno disapprovata. Attendono adesso il ricorso in appello e nuove deposizioni di altri pentiti che possano definitivamente inchiodare i complici dell’assassinio.
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Ninetta, ipotizzando questa iniqua sentenza, ripeteva continuamente che avrebbe chiesto a Napolitano la grazia per il pentito, se fosse stato l’unico condannato. Secondo lei non era giusto che a pagare sarebbe stato solamente chi, trovando il coraggio di parlare e di chiedere perdono, le aveva, comunque, consentito a ritrovare i resti di suo figlio.
Questa era Ninetta, rarissimo esempio di purezza d’animo, di tenacia, di forza, di bontà infinita, e tanto, tant’altro ancora e a noi ci manca da morire. Quando ti abbiamo voluta bene e te ne vogliamo.
Sonia Cartosciello