Il catanese è persona riflessiva, non prende mai decisioni affrettate, specie quando si tratta del futuro della propria città. Cosi’ fin dal 1993 il Consiglio Comunale di Catania deliberò le Direttive Generali per la revisione del Piano Regolatore Generale. Sembra preistoria, eppure siamo ancora fermi agli Schemi di massima.
Allora, l’idea di fondo proposta dall’arch. Pier Luigi Cervellati, era quella di riqualificare l’esistente e non ampliare ulteriormente la città: “Assumere l’obiettivo della qualità urbana per la rielaborazione del P.R.G. – si legge nel documento – significa avere la consapevolezza che la risorsa territorio non è né inesauribile, né rinnovabile per cui all’infausta cultura della ‘espansione’ è necessario si sostituisca la cultura della ‘trasformazione’.”
Veniva, perciò, messo al centro l’obiettivo del recupero della qualità urbana per rendere più vivibile la città, tutta la città, a partire dalla riqualificazione delle periferie degradate.
Sempre nello stesso periodo si sviluppava la riflessione sul piano urbano del traffico, che non sarà mai, però, oggetto di valutazione da parte del Consiglio Comunale.
Alle Direttive seguì l’approvazione dello Schema di Massima. Un primo schema fu approvato nel 1994, un secondo nel 1998, quest’ultimo, a parere di molti, già non del tutto coerente con le Direttive Generali.
Dopo quasi vent’anni, e il susseguirsi di tante amministrazioni, le ultime tre di centrodestra, oggi si torna a parlare di P.R.G. Più volte U. Scapagnini aveva annunciato di essere in dirittura d’arrivo, altrettante volte il tutto si era risolto in un nulla di fatto.
Oggi, R. Stancanelli, sindaco dal giugno 2008, pensando di essere originale, afferma che “si chiude la prima fase del Piano che noi abbiamo già pronto. La seconda riguarderà il Consiglio che subito dopo le feste potrà cominciare a lavorare sul Piano”.
Ancora una volta pochi numeri e molte belle parole. Un Piano, secondo coloro che vi hanno lavorato, che “non si occupi più di rendite dei suoli, ma di processi complessi che diano alla città l’opportunità di competere. Una programmazione che la consideri non come eredità ricevuta dai padri, una proprietà da utilizzare a propria discrezione, ma come un prestito affidatoci dai figli e, dunque, da tutelare”.
Parole del tutto condivisibili e, se fossimo ancora nel 1993, probabilmente anche realizzabili. Purtroppo, oggi, non è più così.
Non perché siamo stanchi delle solite promesse, ma perché nel frattempo la città , grazie alla pratica delle varianti e delle deroghe ad hoc, ha subito tanti, troppi, cambiamenti con i quali, se si vuole progettare con coerenza, occorre adesso fare i conti.
Proviamo ad elencarli, indicando sia quelli realizzati, che quelli in via di realizzazione, ed è una lista fatta per difetto. Il Patto Territoriale Catania Sud che ha riguardato in primo luogo la Playa, l’Interporto, il Piano Urbanistico Attuativo anch’esso riguardante la Playa, il Corso Martiri della Libertà, il Lungomare, l’Oasi del Simeto, i Parcheggi scambiatori e quelli collocati all’interno del tessuto urbano (P. Europa, Stazione, ecc.), l’abnorme proliferazione di centri commerciali, cui vanno aggiunte le tante demolizioni e ricostruzioni del patrimonio edilizio esistente avvenute in tutti questi anni.
Tutto ciò, almeno nelle parole ufficiali, non sembra oggetto di alcuna riflessione, eppure si tratta di interventi che pregiudicano una ulteriore riflessione sulla loro pertinenza, tenendo conto, fra l’altro, che si tratta di zone la cui utilizzazione ha un valore strategico proprio rispetto a quella qualità della città, di cui tanto si parla.
Ci si concentra, infatti, su quello che si potrà fare quando avverranno (ma avverranno?) importanti delocalizzazioni (stadio Massimino, carcere di piazza Lanza, caserma Sommaruga, ospedale Vittorio Emanuele), sull’eventuale spostamento di interi quartieri (Villaggio Santa Maria Goretti).
Analogamente, sempre senza valutare quanto avvenuto, poco si dice sul tema, ovviamente decisivo, della grave carenza di servizi, quantificabile nella metà di quanto previsto dagli standard urbanistici.
Problema, quest’ultimo, che avendo scarse risorse a disposizione, gli stessi amministratori considerano di difficile soluzione. Tant’è che sono costretti a riproporre una nuova versione della cosiddetta perequazione, che peraltro, così come viene presentata lascia interi i dubbi di chi teme possa diventare strumento di rinnovate speculazioni e perduranti ingiustizie (ma su questo, quando la proposta sarà più chiara, ci impegniamo a tornare).
In sostanza, invece di guardare astrattamente solo ai progetti futuri (dimenticavamo che si parla anche di interrare la ferrovia, riproponendo la questione del fronte mare) ci piacerebbe che una seria analisi del presente fosse effettivamente alla base della progettazione. Un’analisi capace di bloccare tutte quelle iniziative speculative e di dissipazione del territorio oggi in atto.
Quando ciò avverrà si potrà parlare di Piano Regolatore Generale, di chiacchiere ne abbiamo sentite abbastanza.
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La cosiderta ” perequazione” non può supplire gli standard urbanistici. Questi elementi debbono per forza di cose essere garentiti nel muovo piano regolatore. Lo impone una legge dello Stato e molti urbanisti vorrebbero ignorare quest’obbligo. IL territorio della città non dispone di spazi per integrare gli standard carenti. Perchè non chiedere un parere al luminare che ricopre la carica di Assessore all’urbanistica?