Con puntigliose citazioni gli autori ripercorrono i momenti tragici vissuti da Borsellino dopo la morte dell’amico e sodale Giovanni Falcone, quando cresce in lui la certezza di essere la prossima vittima designata e gli matura dentro l’angosciosa e sconvolgente consapevolezza che responsabili di quella morte- e domani della sua- siano stati anche uomini appartenenti alle forze dell’ordine e alla stessa magistratura, parti cioè di quello Stato che egli fedelmente sta servendo a rischio della propria vita.
Utilizzando le testimonianze dei parenti, degli amici e dei colleghi ma anche i discorsi pubblici, le interviste, le lettere, gli autori ricostruiscono, giorno dopo giorno, gli eventi. Disegnano anche il profilo umano di un magistrato dal carattere espansivo ed estroverso, appassionato al proprio lavoro, in cui metteva a frutto anche le sue ottime capacità comunicative, e disposto a coinvolgersi con le persone più bisognose di sostegno. Così aveva fatto con la “picciridda” Rita Atria, che si suiciderà alla notizia della sua morte, e con Rosaria Costa, giovane vedova di Vito Schifani, agente della scorta di Falcone, quella donna minuta e fragile che aveva avuto la forza di intervenire al funerale del suo uomo per gridare ai mafiosi: io vi perdono, ma voi dovete mettervi in ginocchio e avere il coraggio di cambiare radicalmente.
Nella seconda parte del libro gli autori cercano di fare il punto sullo stato attuale delle indagini relative alla morte di Borsellino. Vengono riproposti, con dovizia di citazioni, alcuni dei misteri mai chiariti di questa vicenda giudiziaria: la scomparsa dell’agenda rossa, la falsa collaborazione di Vincenzo Scarantino, i sospetti di depistaggi da parte di soggetti istituzionali e le problematiche relative alla cosiddetta trattativa tra Stato e Mafia.
Pur senza pervenire ad una conclusione, perchè su questa inquietante vicenda non è ancora stata fatta piena luce, il libro rappresenta uno strumento molto utile per chi vuole sapere e capire.
Ma il messaggio più forte in esso contenuto è proprio la necessità di tenere viva l’attenzione e la memoria “per evitare che si torni di nuovo indietro”, come lo stesso Borsellino aveva detto a Palermo intervenendo alla commemorazione pubblica di Falcone, un mese dopo la sua morte. In quell’occasione aveva parlato anche di una lotta alla mafia che non può essere soltanto “distaccata opera di repressione”, ma deve divenire “movimento culturale e morale, e anche religioso”. Parlava ad una folla partecipe e commossa, in un momento di intensa emozione collettiva che sarebbe stato rinnovato, dopo meno di due mesi, dall’attentato che lo avrebbe ucciso insieme alla sua scorta.
Oggi questa tensione è andata via via scemando. Libri come questo, e incontri come quello di sabato, dimostrano che c’è tuttavia una minoranza che tiene alto il livello di coscienza e la volontà di cambiamento. Spetta a questa minoranza cercare gli strumenti per coinvolgere fasce più ampie di cittadini e parlare soprattutto ai più giovani, per i quali quei fatti sono ormai lontani. Ci hanno provato Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, con il movimento delle Agende rosse e i ragazzi della “Scorta Civica“, esperienze che dimostrano come ci sia sete di modelli di grande forza morale.
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