Il viso di Giovanni Falcone. Fa ancora paura quel viso dopo quasi vent’anni. Fa paura ai vermi che sono saliti, strisciando, sul muro del Viale Ulisse a Catania e ci hanno lasciato colare su della vernice rossa. Zuppo di sangue. E’ così che ancora oggi qualcuno lo vuole vedere. La manovalanza vuole gonfiare il petto sotto il palazzo delle menti finissime.
La manovalanza anonima, nascosta, vigliacca. Piccola, piccolissima al cospetto degli sguardi fieri e liberi dei giovani di Addiopizzo che sabato nove luglio hanno inaugurato il murales dell’artista catanese Antonio Barbagallo dopo una conferenza stampa tenutasi in un’aula del Monastero dei Benedettini.
Sfregiato il ventisei maggio scorso, il murales realizzato nell’ambito del progetto “un muro contro la mafia” pensato da Addiopizzo Catania per “far crescere la cultura dell’antimafia”, come ha dichiarato il presidente dell’associazione Simone Luca, è stato riconsegnato ai Catanesi.
Lo sconforto iniziale ha abdicato alla voglia di non inginocchiarsi di fronte ad un gesto vigliacco. Lo racconta il video proiettato durante la conferenza stampa. Ragazzi e ragazze sorridenti e determinati nel voler ribadire un concetto fondamentale, basilare nella lotta alla mafia: nessuna riverenza, nessun inchino di fronte ai giovinsignori dell’illegalità.
“E’ animato quel murales. E’ come se ci venissero incontro Falcone e i ragazzi..”, si commuove Rosalba Terrasi, compagna di Rocco Dicillo, uno degli agenti della scorta morti nell’attentato del 23 maggio del 1992. Le fa eco la voce flebile di un’ anziana signora: “Ci vengono incontro ogni giorno”. Applausi.
Presente alla cerimonia anche Antonino Cufalo, questore di Catania. Ci tiene a ricordare, quasi sugellando quell’applauso, che “Nonostante le regioni del Nord ci identifichino con la mafia, la maggior parte degli uomini e delle donne che hanno dato la vita per sconfiggere questo fenomeno vengono dalla nostra isola. Sono Siciliani“.
E’ vero. Sono Siciliani. Erano Siciliani. Siciliani con nomi e cognomi che tutti conosciamo. E’ questo che li rende eterni: il coraggio oltre gli ordini.
Visi familiari. Visi che fanno paura a chi il senso di famiglia da anni lo interpreta sulla base di un’animalità deviata. Deliri tribalistici in vasche d’onore. Di acido. Visi rassicuranti. Troppo rassicuranti per chi si sente sicuro solo nella subalternità a priori o nella superiorità ignorantemente presunta. Presunzione, arroganza che aldilà dei secchi di vernice, di rosso al suo
Non ce l’hanno fatta a impaurire i Catanesi. Giovanni, Francesca e i ragazzi della scorta ci vengono ancora incontro.
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