« Je vais vous raconter, avant de vous quitter… ». Arancione, il sole scompariva lentamente dietro le dune del Sud Tunisino. Avevamo lasciato Tataouine da qualche ora e ci dirigevamo speditamente verso Gafsa, uno dei più grandi centri cittadini nel Sud Ovest del paese.
Le mie pupille seguirono curiose l’indice di H, un blogger anonimo che avevo conosciuto la sera prima (mentre un caccia italiano sorvolava Tataouine) e che durante il viaggio per Tunisi mi avrebbe parlato del ruolo dei social network e dei blog nelle manifestazioni a Place de la Kasbah.
Redeyef, cittadina di 37 mila abitanti nel bacino di Gafsa (600milioni di tonnellate di fosfato nel sottosuolo) fu teatro di una sanguinosa repressione con cui il regime Ben Ali sedò la protesta, nel 2008, di 20mila persone, perlopiù giovani disoccupati stanchi di sottostare alle logiche clientelari che li vedevano sistematicamente scartati nell’assegnazione di posti di lavoro nelle miniere di fosfato.
I “fatti di Redeyef” fecero rapidamente il giro del web; alle parole dei blogger anonimi si aggiungeva la potenza evocatrice delle immagini crude di corpi grondanti sangue. Youtube e Dailymotion erano stati oscurati nel novembre 2007 all’inizio delle proteste nella cittadina.
Mentre fissavo quella cartina mi ricordai di un sms ricevuto il giorno prima da mia madre. Tirai fuori il cellulare dalla tasca. Non avevo cancellato l’sms: “Oggi hanno sgomberato il palazzo delle poste”. Il pensiero andò, in quel momento, a quei giovani figli di Redeyef che proprio al Palazzo delle Poste avevano trovato rifugio fisico in questi anni, visto che quello politico gli era stato negato in nome di pragmatici equilibri internazionali.
Giovanni Sciolto
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