L’indagine “L’università che vorrei”, realizzata dall’Istituto Demopolis su commissione dell’Università di Catania, ha il grande pregio di confermare tutte le attese. Ci sono, a volte, indagini demoscopiche che ribaltano quello che si ritiene essere il comune sentire, e offrono nuove prospettive sulla società. Non è questo il caso. Presi a campione circa mille studenti dell’università, sono state rivolte loro domande relative a molti aspetti della loro vita e alle loro aspettative future.
Pare che gli studenti, a Catania, abbiano un grosso timore: quello che la loro laurea si riveli del tutto inutile a inserirsi nel mondo del lavoro. A giudicare dai dati dell’Istituto Demopolis, metà degli intervistati ritiene che quanto appreso nei corsi non sia spendibile in direzione di una professionalità futura e la quasi totalità pensa che il problema principale del territorio in cui risiede sia la carenza di opportunità di lavoro. Un buon numero di studenti (63%) vorrebbe un ufficio di orientamento post laurea che servisse a rendere meno traumatico il passaggio dallo studio al lavoro.
Tutti gli studenti, ma in maniera ben maggiore i pendolari, poi, lamentano difficoltà nel raggiungere i luoghi di studio, a causa della ben nota insufficienza dei trasporti pubblici e della cronica e pare irrisolvibile carenza di aree di parcheggio. Bocciate anche le segreterie e le mense, mentre la maggior parte degli studenti campione considera funzionale il sito dell’ateneo, e apprezza i servizi delle biblioteche.
Nonostante le valutazioni tutto sommato positive, anche se non eccelse, assegnate dai giovani alla competenza dei docenti, alla didattica e all’organizzazione dei corsi, Catania non ha una grande capacità di attirare nuove matricole: la maggior parte degli studenti (61%) ha dichiarato di essersi iscritta a Catania perché residente in città o nei dintorni.
Se, come ha dichiarato il rettore Recca, l’indagine Demopolis fa parte di un più ampio processo di autovalutazione dell’ateneo in vista dell’assegnazione dei finanziamenti alle università “virtuose” c’è da stare in guardia.
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