Immigrati nei campi: caporalato femminile e sfruttamento creativo

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lavoratori_campo -300x200Cresce lo sfruttamento delle donne straniere nel lavoro agricolo. E molte volte le donne non sono solo braccianti. Fanno anche le caporali. A Pachino, a Rosolini, si mettono in movimento alle quattro del mattino e caricano le operaie, in genere rumene.

Vengono raccolti i pomodori, le zucchine. Molto spesso si lavora nei “tunnel”, piccole serre alte 80 cm, dove l’umidità e il calore sono insopportabili e il rischio di intossicazione da anticrittogamici altissimo.

Le ragazze più carine sono le più richieste. Di sera, nei “festini agricoli”, alcune di esse arrotondano il guadagno della giornata, 20 euro circa, con altri dieci euro per soddisfare le voglie del padrone e dei suoi amici. Lo denuncia don Beniamino Sacco del Centro di accoglienza per migranti di Vittoria.

“Le donne sono le nuove protagoniste della filiera agroindustriale siciliana, dalla raccolta al packaging rappresentano l’anello fondamentale della fascia trasformata.” (Prestazioni occasionali. Nelle campagne dove tutto si compra di Laura Galesi e Giovanni Tizian, su Terre Libere del 25 maggio 2010)

Rumene e rumeni crescono velocemente di numero. Le donne, oltre a lavorare nei campi, fanno le badanti. Gli uomini via via prendono il posto dei maghrebini, che perdono quote di lavoro. I rumeni hanno il vantaggio di essere lavoratori comunitari e di non avere bisogno del permesso di soggiorno. E poi costano meno. Spesso non hanno contratto di lavoro, ma con loro il rischio è minore che con gli extracomunitari.

I più cari sono i nord africani regolari, che ricevono un salario intorno ai 40 euro. Assumerli però è meno conveniente. Al di là della retorica contro i clandestini, sono proprio questi ultimi ad essere i più convenienti sul mercato. Non hanno nessun diritto, sono i più esposti al ricatto e allo sfruttamento. Se vengono scelti dai caporali devono pagare cinque euro per l’ingaggio e tre per il trasporto. Uno sfruttamento dentro lo sfruttamento.

Non mancano le truffe creative. Come quella che denuncia Pino Cultraro della Federazione Lavoratori dell’ Agroindustriale (Flai), sempre su Terrelibere.

I proprietari delle aziende, che fanno lavorare in nero i migranti, vendono i contributi a falsi braccianti agricoli, che potranno così avere l’indennità previdenziale. Ci guadagnano gli uni e gli altri, ma non certo il vero lavoratore, che continua ad essere senza tutele. E ad essere “venduto” da un’azienda all’altra. Un modo per evitare le denunce e rendere più difficili i controlli, che sono comunque pochissimi. Giovanni Consolino del Forum per l’immigrazione di Vittoria, ricorda che gli ultimi blitz dell’ispettorato del lavoro nelle campagne risalgono al 2007.
Eppure l’entità del lavoro nero si può dedurre se non altro dal rapporto tra i dati della produzione e quelli sull’occupazione. Nel siracusano, per esempio, la forza lavoro è scesa di tremila addetti, ma la produzione è cresciuta del 20%. Quindi…
Il sindacato cerca, con difficoltà, di coinvolgere almeno le grosse aziende nell’offerta di lavoro a tempo indeterminato.
A Pachino la cooperativa Aurora garantisce ai lavoratori contratti fissi. Una realtà nata da 16 piccoli produttori, ora 100, che hanno scelto di associarsi per superare le barriere del libero mercato. Ci lavorano 12 operai a tempo indeterminato e 50 stagionali. La sua è una storia al femminile, dove il lavoro delle donne ha contribuito sia alla crescita aziendale che al difficile percorso di emancipazione delle donne” (Galesi e Tizian)
Una variante dell’articolo, a firma di Laura Galesi è stata pubblicata da Sicilia Oggi.net di Sabato 22 maggio 2010 con il titolo Donne che sfruttano altre donne. Dopo i campi sesso col padrone.
Leggi su Argo in pdf  Prestazioni occasionali di Laura Galesi e Giovanni Tizian da Terre Libere

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