Sì ma qui che lavoro non ce n'è

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“I numeri della crisi 2010 sono sempre più pesanti e colpiscono in modo devastante sul fronte occupazionale intere filiere, distretti, piccole,CGIL medie e grandi aziende”.
Inizia così un documento della C.G.I.L. Catania che fa il punto sulla situazione occupazionale nella nostra provincia. Un quadro drammatico che, secondo il Sindacato, ha origini antiche, che vanno ben al di là dell’attuale crisi economica internazionale. Numeri che indicano un processo di desertificazione industriale in un territorio che, però, continua ad avere significative, e non sfruttate, opportunità di sviluppo.
Tenendo conto dei dati (relativi al 2009) forniti dall’Ufficio del lavoro, si sono persi oltre 3100 posti di lavoro a tempo indeterminato, mentre, sempre nello stesso periodo, le ore di cassa Integrazione Ordinaria sono state 1.588.163 (86.497 nel 2008), quelle di cassa Integrazione Straordinaria dell’industria 1.103.483 (695.949 nel 2008).
Alla determinazione di una realtà così negativa contribuiscono, anche, le politiche dei grandi gruppi internazionali presenti nel nostro territorio (ENI, SNAM, ENEL) dediti a incomprensibili ristrutturazioni e riduzione del personale. Così come appare decisamente incerto il futuro dei lavoratori delle aziende partecipate del Comune di Catania e della Provincia Regionale. Emblematico, in questo senso, il caso dell’ASEC (l’azienda che vende e distribuisce il gas a Catania) che rappresenta l’unica azienda di questo tipo che in Italia, inspiegabilmente, continua a perdere milioni di euro.
Analizziamo più specificamente alcuni comparti. Nel settore edile il forte calo di appalti pubblici registratosi in Sicilia (dimezzato il numero di gare complessive, se confrontiamo i dati del 2007 con quelli del 2009) e, a Catania, la chiusura dei cantieri per la costruzione di diversi centri commerciali e la perdurante crisi del mercato immobiliare, hanno avuto pesanti ripercussioni in campo occupazionale.
Nel settore agricolo crisi di mercato e calamità naturali (fine 2007) hanno fatto registrare una diminuzione delle giornate lavorative del 40%. L’industria alimentare, inoltre, subisce la forte concorrenza (per esempio nel settore che riguarda gli agrumi destinati alle bibite a lunga conservazione) di prodotti similari provenienti dall’America Latina.
Altrettanto complicata la situazione nel settore delle telecomunicazioni (call center in outsorcing) perché stanno per venire meno i benefici previsti dalla L.407/90 e, conseguentemente, aumenteranno i costi del personale. C’è il rischio che le aziende, per ottenere ulteriori agevolazioni statali, dismettano le attività nel nostro territorio per trasferirle in altre parti della penisola.
A rischiare addirittura, sempre secondo la C.G.I.L., il tracollo definitivo sono i settori farmaceutico, manifatturiero, gomma e plastica e tessile.
Infine, sulle vicende che riguardano la ST riportiamo le preoccupazioni espresse dalla R.S.U. dell’azienda “ Il mancato avvio della produzione di M6 è stato l’inizio del declino catanese [….] l’irrigidirsi delle condizioni di lavoro, la militarizzazione dei controlli sui dipendenti, sono logiche conseguenze del progetto teso al ridimensionamento se non alla futura chiusura dello stabilimento catanese”. Se la vicenda della ST può essere assunta come metafora rispetto allo sviluppo industriale del catanese, c’è poco da essere allegri.

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