Domani 20 Marzo a Roma si svolgerà una manifestazione nazionale per rendere nuovamente pubblica la gestione dell’acqua. Alla manifestazione parteciperanno anche i rappresentanti del Forum catanese, che ha di recente ripreso la sua attività. Ne fanno parte diverse associazioni, dall’Arci al Gas Tapallara, dal Gapa a Libera, dalla Federcontribuenti a Frazioni in movimento. Vi aderiscono anche Pdci, Prc, Sinistra e Libertà. Di recente il Forum ha diffuso un volantino in cui sono sintetizzate le ragioni della difesa dell’acqua come bene comune.
Analoghi Forum sono attivi da tempo in molte altre città. Tutti insieme hanno costituito il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e raccolto più di 400.000 firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare per la tutela, il governo e la gestione pubblica dell’acqua. Questa proposta giace nei cassetti delle commissioni parlamentari. Ignorandola del tutto, il governo ha di fatto privatizzato l’acqua con un emendamento introdotto nell’art. 15 del decreto legge n.135, approvato con la forzatura del voto di fiducia il 19 novembre 2009.
Il Forum Italiano comunque non si arrende e ha deciso di lanciare, a partire dal prossimo mese di aprile, una grande campagna di raccolta firme per la promozione di tre referendum abrogativi delle norme che hanno privatizzato l’acqua.
Non sono solo le associazioni e i partiti a muoversi. Si stanno attivando anche gli Enti locali, Comuni, Province, Regioni. E non solo perchè è abbastanza diffusa la percezione dell’acqua come bene comune da sottrarre alla mercificazione.
L’approvazione del decreto ha creato un potenziale conflitto di competenze tra Stato e Regioni. Queste ultime, infatti, ritengono di essere state espropriate dei loro compiti e funzioni e hanno annunciato ricorso davanti alla Corte Costituzionale.
La prima regione a promuovere il ricorso è stata la Puglia, seguita da Emilia Romagna, Piemonte, Liguria e Toscana.
Nel contempo sono state avviate delle petizioni popolari per chiedere a Province e Comuni, titolari del servizio, di introdurre nei rispettivi Statuti “il principio dell’acqua come bene comune e diritto umano inalienabile e del servizio idrico come servizio di interesse generale, privo di rilevanza economica, da gestire attraverso soggetti di diritto pubblico”. L’inserimento di questi elementi negli Statuti dovrebbe costituire un “paletto” giuridico oltre che politico ai processi di privatizzazione in corso. Anche il diritto europeo attribuisce ai singoli Stati membri il compito di definire i servizi con rilevanza economica e quelli che ne sono privi.
Non esiste, tuttavia, alcuna legge italiana in tal senso. Del resto, sebbene l’articolo 15 del DL135/09 disciplini i servizi pubblici locali di rilevanza economica – fra cui quelli “in materia di acqua” – , ciò non comporta che tutti i servizi idrici siano da considerarsi “automaticamente” tali. Esistono anzi delle sentenze della Corte Costituzionale che definiscono i servizi locali “privi di rilevanza economica”. Le autonomie locali possono quindi con questa definizione sottrarre il bene acqua alla disciplina del mercato e, quindi, alla competenza del legislatore statale in tema di tutela della concorrenza.
Tutti gli Enti locali impegnati sul fronte della “ripubblicazione” dell’acqua hanno costituito un Coordinamento Nazionale “Enti Locali per l’Acqua Bene Comune e la Gestione Pubblica del Servizio Idrico”. E’ un impegno bipartisan, perchè del Coordinamento fanno parte amministrazioni locali di vario colore politico, tutte accomunate dall’intento di preservare la proprietà e la gestione pubblica dell’acqua.
La sezione siciliana del Coordinamento ha elaborato una proposta di legge regionale di iniziativa popolare denominata “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque. Disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico in Sicilia”, presentata il 7 luglio scorso al Palazzo dei Normanni.
Lo Statuto della Regione Siciliana prevede infatti che un numero non inferiore a quaranta consigli comunali, in rappresentanza di almeno il 10 per cento della popolazione siciliana, o almeno tre consigli provinciali, possano presentare proposte legislative.
I comuni siciliani che hanno fatta propria la proposta di legge di iniziativa popolare sono attualmente 116 e rappresentano un totale di 1.100.000 abitanti. Lo leggiamo sul sito del Comune di Riposto, dove due giorni fa si è svolta un’assemblea pubblica in difesa dell’acqua.
Altri Comuni sono indicati nel sito luogoespazio.info dove si può constatare che appartengono a varie provincie siciliane, da Palermo ad Agrigento, da Trapani a Ragusa. Anche al Consiglio Provinciale di Catania è stato proposto un ordine del giorno sulla “ripubblicazione del servisio idrico”, che però non è stato ancora votato. Resistenze? Probabilmente. Ma neanche l’approvazione garantirebbe una corretta applicazione del principio di utilità sociale. Il controllo da parte dell’opinione pubblica non deve mai venire meno.
La discussione sul tema dell’acqua bene comune e la nascita di movimenti popolari per la sua appropriazione sociale sono infatti molto significativi non solo per l’attenzione che viene rivolta ad un bene vitale ma anche perchè sono pratiche di partecipazione democratica. “Perché si scrive acqua ma si legge democrazia”.
Sull’argomento leggi l’articolo di Luca Fornovo L’acqua ai privati è già un affare d’oro
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