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Privatizzazione, politici e baronie universitarie

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Macchè crisi economica! C’è ben altro dietro le leggi promulgate dal governo Berlusconi che hanno  imposto i tagli all’università.inaugurazione2_r1 Dietro quelle, e dietro le altre preannunciate dalla ministra Gelmini, c’è solo il progetto di fare uscire l’Università pubblica dal ruolo costituzionale di promozione sociale ed economica del Paese per darle una funzione marginale, con una forte caratterizzazione aziendale.
Come hanno detto chiaro precari e studenti del movimento dell’Onda, i tagli sono finalizzatialla trasformazione delle Università in fondazioni private. Di questo si è parlato venerdì 3 aprile 2009 nel corso di un incontro-dibattito nella sede catanese della CGIL quando è stato presentato il volume, “Manifesto per l’università pubblica”, presente uno degli autori del libro, Alberto Burgio.
I progressivi tagli del Fondo di finanziamento ordinario (FFO), cioè la somma globale che lo stato investe nelle università, porteranno entro il 2011 ad una riduzione di 863 milioni di euro rispetto al totale di 6.867 milioni spesi nel 2008. A questo si aggiunge la previsione, deliberata in un primo momento, della riduzione del turn over al 20%, vale a dire che contro dieci professori che vanno in pensione se ne possono assumere soltanto due.
Un nuovo decreto legge, subendo le contestazioni studentesche, innalza al 50% la percentuale del turn over e prevede che il 60% dei fondi disponibili sia destinato a posti di ricercatori ma non inverte la logica di fondo, là dove precisa che del restante 40% al massimo il 10% deve essere destinato a professori di prima fascia. Questo orientamento, incrociato con l’altra norma che prevede che delle commissioni di concorso facciano parte solo i professori ordinari, fa riapparire inequivocabilmente la volontà di ricreare la piramide nel governo dell’università con al vertice la “casta” dei baroni. Se questa legge venisse applicata, tra dieci anni a Catania ci sarebbe un solo professore ordinario di fisica , “deus ex machina” di un intero dipartimento.
La verità è che il governo italiano non ritiene che l’università e la ricerca scientifica siano utili allo sviluppo del paese. L’OCSE, organismo internazionale per lo sviluppo economico, analizzando gli investimenti che le nazioni progredite assegnano alla scuola, all’università ed alla ricerca ha documentato che l’Italia risulta agli ultimi posti tra le nazioni considerate, anche a livello europeo.
E per giustificare i tagli ha spesso scatenato la stampa contro professori e ricercatori. Perché tanto accanimento nei confronti del mondo della ricerca? Non sarà perchè – come è scritto nel succitato volumetto – “la maggioranza di centrodestra non ha celato la sua frenesia di vendetta contro una categoria e un mondo ritenuti elettoralmente più prossimi alla sinistra”?
Un’altra chiave di lettura ce la dà anche il giudice Scarpinato in un’intervista concessa al giornalista Lodato: “Per finanziare la corruzione in Italia non si ricorre più alla dilatazione della spesa pubblica ma al progressivo smantellamento dello stato sociale e al trasferimento delle risorse a potentati e a lobby private. Con le privatizzazioni all’italiana, insomma, palesi e occulte, e con la predazione dei fondi nazionali ed europei destinati allo sviluppo.”
A Catania non solo subiamo le conseguenze dei tagli al FFO ed al turn over, ma ci tocca assistere quotidianamente anche alla lottizzazione di settori dell’università che, invece, dovrebbero essere sottratti alle voglie di politici e baroni universitari.
Leggi il testo integrale dell’approfondimento proposto dal prof. Renato Pucci

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